Sono molte le donne che vanno all’estero per avere un figlio da madri in affitto, sebbene la legge italiana lo vieti. Lo scorso 6 aprile La Repubblica ha pubblicato il diario di una donna che – protetta dall’anonimato – ha raccontato la sua esperienza di maternità surrogata.  Da tempo la donna cercava di avere un figlio con il marito, ma a causa di una malattia degenerativa non è riuscita a concepire – neanche con l’aiuto della fecondazione assistita, all’estero – né potrebbe mai ottenere dal tribunale l’idoneità per l’adozione.

E così insieme al marito ha scelto la maternità surrogata, affidandosi a un’agenzia americana che l’ha messa in contatto con  Barbara, 24 anni, un marito e una figlia, sua. L’agenzia fa una selezione rigida tra le candidate che offrono il loro utero, che devono avere lavoro stabile, partner fisso, casa di proprietà, figli propri, a cui viene dato per tutto il periodo supporto psicologico e viene rimborsata ogni spesa legata alla gravidanza.

Il costo dell’operazione è piuttosto elevato negli Stati Uniti: da 80.000 a 170.000 euro complessivamente, di cui 20-30mila come compenso per la madre un affitto, 25-30mila per l’agenzia, 35-45mila per la fecondazione, 5mila per la diagnosi preimpianto, 5-8mila per l’ovocita, se si ricorre alla donazione.

Tuttavia, la scelta della coppia italiana è ricaduta proprio sugli Stati Uniti – anche se per avere un bambino i due hanno utilizzato tutti i loro risparmi, venderanno  la macchina e hanno acceso un’ipoteca sulla casa – perché lì si ha la garanzia che la donna che offre l’utero non è sfruttata, e che la sua decisione è frutto di una libera scelta: solo così la gravidanza surrogata può essere un atto d’amore.

Il bambino che nascerà verrà registrato con il cognome della coppia italiana, nel rispetto della legalità dello stato in cui vive Barbara.

La madre italiana del piccolo, quindi, non dovrà fare altro che partire per l’estero qualche mese prima della data presunta del parto, dopo avere preso qualche chilo e avere indossato abiti larghi. Trascorrerà insieme al marito l’ultimo mese della gravidanza nella città di Barbara, e tornerà in Italia con marito e figlio qualche tempo dopo la nascita del bambino, presumibilmente dopo un mese.

Il rischio, se dovesse emergere la verità sulla nascita del bambino, è quello di trovarsi davanti a un tribunale per deciderne l’affidamento; la pena può arrivare fino a due anni di reclusione. Si tratta di un rischio decisamente da non correre, ed è per questo che l’autrice del diario si cela suo malgrado dietro l’anonimato, e dovrà fare molta attenzione al suo rientro in Italia.

Dice la donna “Vorrei far capire che la maternità surrogata è una tecnica di riproduzione assisitita che serve a curare una malattia, l’infertilità, e se regolata giuridicamente e ben applicata da professionisti seri offre una possibilità senza ledere la dignità e la libertà di tutte le persone coinvolte.”

Voi cosa ne pensate? Si può fare crescere dentro di sè un figlio con amore, sapendo che non è nostro, né lo sarà mai, perché destinato a un’altra madre?

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