I compiti a casa andrebbero aboliti? Secondo Maurizio Parodi – dirigente scolastico e formatore – sì, assolutamente.

Le ragioni di tale convincimento sono elencate nel manifesto del gruppo Facebook “Basta compiti – per l’appunto – la cui finalità è quella di promuovere azioni volte a superare la pratica dei compiti a casa attraverso la condivisione di proposte e la segnalazione di possibili alternative didattiche.

Ripensare le modalità di apprendimento

Insomma: devono esserci altre modalità di apprendimento oltre quelle che richiedono la sottrazione di ore alla famiglia – e alla propria vita di bambini – per destinarle ai compiti.

Ma non è una richiesta un po’ estrema? L’ho chiesto a Maurizio Parodi.

“Ti elenco alcune delle ragioni per cui credo che i compiti a casa vadano aboliti. Mettiti comoda, ché sono tante” risponde. E comincia:

  • I compiti sono inutili:

le nozioni apprese attraverso lo studio domestico per essere rigettate a comando attraverso interrogazioni o verifiche hanno durata brevissima:  dopo un paio di mesi non si ricorda nulla;

  • I compiti sono dannosi:

procurano disagi soprattutto agli studenti già in difficoltà, suscitando odio per la scuola e repulsione per la cultura, oltre alla certezza, per molti studenti “diversamente dotati”, della propria «naturale» inabilità allo studio;

  • I compiti sono discriminanti:

avvantaggiano gli studenti che hanno genitori premurosi e istruiti mentre penalizzano chi vive in ambienti deprivati, aggravando, anziché “compensare”, l’ingiustizia già sofferta;

  • I compiti sono prevaricanti:

ledono il “diritto al riposo e allo svago” sancito dall’Articolo 24 della dichiarazione dei diritti dell’uomo e riconosciuto a tutti i lavoratori – e quello scolastico è un lavoro oneroso e spesso alienante! Spesso i compiti vengono assegnati anche nelle classi a tempo pieno, dopo 8 ore di scuola, persino nei week end e per le vacanze. “Compiti delle vacanze” è di fatto un ossimoro;

  • I compiti sono impropri:

costringono i genitori a sostituire i docenti, senza averne le competenze professionali, nel compito più importante: quello di insegnare a imparare

  • I compiti sono limitanti:

lo svolgimento di fondamentali attività formative che la scuola non offre, quali fare musica o praticare uno sport, sono limitate e talvolta impedite dai compiti a casa;

  • I compiti sono stressanti:

molta parte dei conflitti che avvengono tra genitori e figli riguardano lo svolgimento dei compiti, mentre sarebbe invece essenziale disporre di tempo libero da trascorrere insieme, serenamente;

  • I compiti sono malsani:

portare ogni giorno zaini pesantissimi colmi di quadernoni e libri di testo è nocivo per la salute e per l’integrità fisica soprattutto dei più piccoli, come dimostrato da numerose ricerche mediche.

Equeste ragioni che ti ho elencato costituiscono di fatto il Manifesto del gruppo, quello che ci ha spinto ad aggregarci per trovare soluzioni attraverso un confronto che coinvolga tutte le categorie in causa: docenti, educatori, genitori e studenti

E di fatto gli aderenti al gruppo non sono solo genitori e studenti ma anche insegnanti in scuole di ogni ordine e grado contrari alla pratica dei compiti a casa. “Alle famiglie schiacciate dalla mole di compiti suggerisco di formare un comitato e di andare a parlare con il dirigente. E’ poi necessario presentare questo tema al Consiglio di istituto attraverso il rappresentate dei genitori” suggerisce un’insegnate di scuola primaria che conclude con un incoraggiamento “Non dovete permettere che i compiti intacchino la serenità dei vostri ragazzi.”
La richiesta di eliminare – o abbassare sensibilmente – il carico di lavoro extrascolastico è quindi trasversale. Nessuno degli iscritti al gruppo intende sminuire l’istituzione scolastica, ma tutti avvertono l’esigenza di ripensare le modalità di apprendimento.

“Ho sessant’anni e non ricordo di aver vissuto la scuola del dolore e dei sovraccarichi cognitivi: nessuno dei miei maestri, insegnanti mi ha mai imposto compiti a casa che non fossero dei componimenti, dei semplici calcoli, qualche bella lettura, un disegno, la costruzione di tecnologia povera, la raccolta di foglie, rami” scrive Davide Suraci, insegnante “Sono in grado di analizzare un testo umanistico, tecnico, scientifico, spiegarlo, riassumerlo con parole semplici, fare di conto, informarmi su tutto ciò che mi serve per il mio lavoro. Le cose e i fatti che mi sarebbero serviti li ho appresi confrontandomi con i miei studenti e approfondendo sempre le mie conoscenze. Ho scoperto che i miei allievi ritenevano maggiormente ciò che vedevano applicato al contesto: li incoraggio sempre ad esprimersi e, soprattutto, non li umilio se sbagliano. Da anni ho scoperto che le cose interessanti si apprendono proprio in classe. Il compito a casa avrebbe senso se fosse la tappa periodica di un percorso, non il mezzo per compierlo” . Dichiara Davide Suraci, e io mi chiedo se il mondo non abbia bisogno di un nuovo Don Milani.

Talvolta, va detto, sono gli stessi genitori a chiedere che vengano assegnati compiti, nella convinzione che è dal carico di lavoro assegnato che si distingue un buon insegnante.

Ma cosa fare se ci si trova nella necessità di arginare una mole di lavoro sproporzionata?

Come arginare una mole di lavoro sproporzionata?

Al momento, l’unico strumento valido sembra essere l’azione collettiva e coordinata dei genitori presentata nelle sede ufficiali – consigli di classe e di istituto – così da evitare che l’iniziativa dei singoli possa essere ignorata o, nel peggiore di casi, diventi un boomerang con lo studente come bersaglio finale.

Può essere utile anche ricordare l’esistenza di una Circolare Ministeriale (n. 177 del 14 maggio del 1969) che vieta l’assegnazione dei compiti per il lunedì (anche se, di fatto, viene quasi sempre disattesa)

Cosa si vuole ottenere con questo gruppo – chiedo ancora a Maurizio Parodi – una legge disciplini la materia dei compiti pomeridiani?

“Una cosa alla volta” risponde “intanto vogliamo sensibilizzare rispetto al problema, sostenere azioni di “contrasto”, sollecitare gli istituti a fare propria la nostra richiesta, chiedere il sostegno di associazioni culturali, professionali, e infine – certamente – procedere a una raccolta di firme, sul nostro manifesto, da consegnare al ministro per “quanto di competenza”