Anche in Italia si stanno ormai diffondendo: sono gli hikikomori, ragazzi molto intelligenti ma timidi, introversi, che di fronte alle difficoltà di tutti i giorni preferiscono chiudersi a riccio, sbarrare la porta della loro stanza e non uscirne più, per mesi, talvolta per anni. Qualcuno continua a mangiare con la famiglia, chi vive solo è costretto a uscire perlomeno per fare la spesa, ma molti scelgono una forma di reclusione totale, mantenendo un unico legame con il mondo esterno: quello che offre il loro pc, attraverso internet.

Il modello degli hikikomori viene dal Giappone, dove si può parlare di un vero e proprio fenomeno culturale. Gli hikikomori sono qui infatti circa un milione, l’1% di tutta la popolazione. Il termine significa in giapponese “isolarsi”.

In Italia il fenomeno è ancora contenuto, ma in crescita. Sono una cinquantina i casi presi in esame dagli psicologi. L’unico modo per entrare in contatto con questi ragazzi – generalmente minori di 18 anni, in prevalenza maschi – è, indirettamente, attraverso i racconti dei famigliari, oppure in maniera più diretta tramite la rete.

Secondo Michael Zielenziger, autore del saggio “Non voglio più vivere alla luce del sole” anche la principessa Masako Owada ne sarebbe affetta.

Carla Ricci, nel suo saggio “Hikikomori: adolescenti in volontaria reclusione” avanza l’ipotesi che all’origine del disturbo ci siano mamme iperprotettive, che aumentano il narcisismo e la fragilità di questi ragazzi.

Secondo Antonio Piotti, che con Gustavo Pietropolli Charmet lavora presso l’istituto “Minotauro” di Milano e si è occupato finora di una ventina di casi, all’origine del fenomeno ci sarebbero delle aspettative eccessive da parte dei genitori nei riguardi dei figli, che si sentono incapaci di soddisfarle e spesso hanno inoltre difficoltà a gestire le relazioni all’interno di un gruppo. Di qui la decisione di ritirarsi dal mondo.

Il fenomeno all’origine non va inquadrato come una vera e propria patologia, ma come un semplice disturbo. Il problema è che la reclusione con il tempo genera patologie: psicosi, fobie, violenza domestica. Il ritmo circadiano si inverte, i ragazzi autoreclusi vivono prevalentemente la notte, nella realtà virtuale del loro computer, che rimane comunque conseguenza e non causa del loro allontanamento dal mondo. Di frequente, come anoressici, questi giovani negano il loro corpo.

Per aiutare gli hikikomori a uscire dal loro isolamento spesso è utile un amico,  o un fratello, che riesce ad aprirsi un varco verso di loro tramite internet.

Come possiamo noi genitori evitare che i nostri figli si rinchiudano in se stessi? Dovremmo essere meno protettivi, nutrire meno aspettative nei loro riguardi? Tutto ciò probabilmente aiuterebbe. Spesso però la difficoltà a intrecciare relazioni appaganti con gli altri è anche una questione caratteriale. Talvolta la fuga può sembrare l’unica via di scampo per allontanarsi da una realtà sgradita. Insegnamo allora ai ragazzi a coltivare le amicizie e a parlare delle difficoltà che incontrano, piuttosto che negarle. Speriamo che sia soprattutto la scuola, e solo secondariamente il computer, a costituire per loro una finestra sul mondo. Voi cosa ne dite?