Il 2 marzo leggo su Repubblica un articolo che tratta del business nato sulla possibilità della conservazione del sangue del cordone ombelicale (ricco di cellule staminali, le cellule cioè che hanno il potere di formare nuove cellule del sangue); decido di ritagliare l’articolo per avere modo di leggerlo con maggiore calma, visto che il tema è molto attuale e io abbastanza a digiuno dell’argomento.
Ricordo infatti che al momento di scegliere la struttura ospedaliera nella quale far nascere mio figlio, ho deciso in base alla possibilità che Emanuele potesse ricevere, nel caso in cui fosse stato necessario, tutte le cure indispensabili per eventuali problemi dopo il parto. Non sono stata tanto a valutare la comodità o la vicinanza dell’ospedale o se era lo stesso in cui prestava servizio il ginecologo dal quale ero seguita.

Circa dieci anni fa, la scelta di poter “mettere in banca” il cordone di mio figlio per donargli la possibilità di curare ogni sua malattia nel futuro era pressoché sconosciuta, o forse era solo una vaga opzione di cui ancora da poco si era iniziato a parlare.

Leggo in questo articolo dal titolo “La guerra del cordone ombelicale” che il numero di strutture pubbliche in cui è possibile raccogliere il sangue del cordone è esiguo; e la legge italiana vieta che le banche private sorgano sul territorio del nostro Paese. Leggo anche che diversi personaggi pubblici, tra i quali Stefania Rocca, Ambra Angiolini, e altri ancora hanno optato per questa scelta di conservare il sangue del cordone ombelicale.

L’unico modo per poter realizzare questa scelta, in mancanza di una struttura pubblica che consenta ciò, sia quello di rivolgersi a laboratori privati o a “società di intermediazione che si occupano di affittare un posto in una struttura straniera”.

A tal proposito, l’ultima ordinanza del Mnistero della Salute, che ribadisce la possibilità di spedire all’estero il sangue del cordone, non fa che suscitare ulteriori polemiche; infatti la garanzia che il sangue donato venga usato esclusivamente per i propri figli è possibile solo nelle banche private straniere. In Italia infatti, nelle 18 pubbliche banche e 200 ospedali dove è possibile raccogliere il sangue, tale sacca di staminali viene messa a disposizione di chi ne necessita.

Le richieste in questo senso sono in aumento ma la possibilità di una donazione autologa (ovvero destinata esclusivamente al proprio figlio) che, ripeto, può avvenire attraverso queste società di intermediazione verso una struttura straniera, ha un costo iniziale che oscilla tra i 1000 e i 2000 euro, a cui è da aggiungere una quota annuale di 100-200 euro.

A prescindere dal costo che la conservazione autologa comporta, l’ex Ministro della Salute Sirchia, afferma che la sua efficacia non è dimostrata. Insomma, a fine lettura e dopo ulteriori tentativi di documentarmi, sto ancora qui a chiedermi per quale scelta opterei; la risposta è che anche adesso forse non ci sono le condizioni per fare una scelta “priva di controindicazioni e zone d’ombra”.

Magari questa è solo una mia sensazione, per questo mi farebbe piacere sentire chi fra voi, in prossimità del parto, ha espressamente scelto e come si è concretamente mossa.

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