Ci sono marcate differenze che aiutano a costruire l'appartenenza di genere, l'essere maschi o femmine, e noi adulti contribuiamo (anche inconsapevolmente) a questo processo.
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Al di là della veridicità che ciascuno di noi può attribuire a questi risultati, in queste ricerche si racchiude l'eterno dilemma che riguarda le differenze di genere: quanto sono frutto di condizionamento sociale, e quanto biologicamente determinate?

Oggi siamo molto lontani dall'essere cacciatori-raccoglitori o dal cedere all'istinto di salvare la vita ai nostri cuccioli febbricitanti. Eppure nel campo dell'appartenenza di genere i progressi sembrano lentissimi.

Parliamo dei giocattoli.

I giocattoli favoriscono l'apprendimento critico, lo sviluppo cognitivo, le abilità sociali. Per quanto possano essere manovrati dall'industria produttiva, che spinge a creare bisogno dove talvolta non c'è, sceglierli è un compito che spetta anche e soprattutto ai genitori.

In questo campo alcune cose sembrano intramontabili: in rosa quasi tutti i reparti per le femmine, in azzurro quelli per i maschi. I due mondi sembrano impossibilitati all'incontro e alla contaminazione, anche se l'esperienza ci mostra che molte bambine non giocano solo con le bambole e viceversa.

Come discutevamo nel precedente articolo, noi genitori abbiamo un ruolo in questo processo. Già il nostro essere uomini o donne fornisce un esempio importantissimo per i nostri figli: “cosa fa un uomo, cosa fa una donna” sono regole che i bambini imparano innanzitutto dall'osservazione di come siamo noi, uomini e donne, madri e padri.

Prima ancora di riflettere su cosa insegniamo loro, quindi, dovremmo riflettere su cosa pensiamo noi dell'essere maschio e femmina nella società in cui viviamo.

Ci sono famiglie in cui i genitori si preoccupano se un bimbo gioca con le bambole (un po' meno se una bimba gioca con le macchinine), altre in cui c'è una maggiore apertura a quelle “contaminazioni” che fino a pochi anni fa erano impensabili.

Oggi la questione è ancora delicata: potremmo essere genitori molto all'avanguardia, ma questo dovrebbe procedere con una adeguata modernizzazione del sistema scolastico e sociale.

I bambini possono essere molto crudeli nel giudizio dei loro coetanei, così come gli adolescenti, ed essere famiglie che isolatamente portano avanti un modello educativo non condiviso ha le sue ripercussioni sulle relazioni tra pari.

Rabbia, paura, incomprensione, sono fenomeni che ancora oggi accadono soprattutto in quelle famiglie e in quelle scuole dove gli adulti credono rigidamente nella divisione tradizionale basata sugli stereotipi, e tutto ciò contribuisce notevolmente ai soprusi e ai maltrattamenti tra pari.

Dovremmo quindi impedire che i maschi si dirigano verso “il rosa”? Non credo sia possibile o necessario. Di certo non danneggia il genere femminile né impedisce ai ragazzi di svilupparsi correttamente.

I bambini dovrebbero essere in grado di giocare con qualsiasi giocattolo, di qualsiasi colore, senza timore che la loro scelta li faccia oggetto di derisione? Assolutamente sì. Ma questo problema riguarda davvero tutti gli aspetti della vita.

>Ma noi adulti quali esempi mostriamo loro?

Ci sono ancora donne-oggetto proposte dai media, e donne in carriera nei nostri uffici. Uomini che si sostituiscono alle mamme e famiglie dove l'accudimento è equamente suddiviso. Donne discriminate perché diventano madri, e famiglie che si fondano esclusivamente sul potere femminile.

Tutto questo rientra in ogni nostro gesto quando ci relazioniamo ai nostri figli, maschi o femmine. In un momento in cui la nostra società manca di modelli di riferimento stabili, parlare di differenze di genere nel mondo dell'educazione non si può esaurire in qualche articolo, ed è un tema davvero scottante e sempre aperto.

Marcella Agnone – Psicologa Psicoterapeuta

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