Adozioni gay sì o no?

Da sempre e fino ad oggi sono stata ferma sulla posizione di quanti sostengono che i bambini debbano crescere in un ambiente familiare che proponga una ben netta distinzione fra la figura femminile e quella maschile. La letteratura del settore ha infatti sempre sottolineato quanto diverso e peculiare sia l’apporto che ogni genitore dà al proprio figlio nelle sue diverse fasi di crescita. Solo per fare un esempio, il ruolo che ha avuto mio marito nello “staccare” Emanuele da me, verso i tre anni, è stato fondamentale per il suo sviluppo psicologico ed emotivo.

Ritengo ancora valide queste argomentazioni ma poi penso alle tante mamme single o divorziate che, con infiniti sacrifici, cercano di crescere i propri figli al meglio delle loro possibilità. Penso anche ai gemelli di Ricky Martin – single!!! – avuti da un “utero in affitto” o all’adozione in California di una bimba da parte di una coppia di gay sposati, e mi chiedo se la mia posizione in merito non debba essere rivista.

Dopo aver letto il commento dello psichiatra e psicanalista Vittorio Lingiardi a proposito dell’adozione della coppia gay e della domanda se la loro bambina crescerà bene (“Se questi genitori saranno capaci di amarla sicuramente si… E’ la capacità di accudire e di essere vicini ai bisogni della piccola a fare di un genitore un buon genitore”), le mie certezze cominciano a vacillare.

Tutti infatti sappiamo in cosa consista l’ideale, l’ottimo, e proprio per questo siamo anche consapevoli di quanto arduo sia raggiungerlo e realizzarlo. Sempre con più consistenza mi pongo quindi la domanda se negare affetto a un bambino che, affidato ad un istituto, non avrà mai la possibilità di riceverlo sia l’alternativa migliore rispetto a quella di scegliere di permettere la sua adozione a genitori single o a coppie gay.

I piatti della mia bilancia a proposito di tale scottante ed attuale tema oscillano ora più verso un lato ora verso l’altro… come riuscire a prendere posizione?