La maternità è una preziosa occasione di solidarietà fra donne. Quando sono diventata mamma, mi è sembrato di essere entrata a far parte di quella silenziosa comunità femminile priva di confini, ma piena di energia, dolore, fatica e amore. Non riesco più ad essere indifferente alle storie di mamme in difficoltà, che reputo colleghe, ma nemmeno alle storie di donne violate, che sento vicine.

Questo forse può centrare poco con l’argomento dell’adozione a distanza, ma a volte bisogna sapersi allontanare per guardare meglio. Così mi è sembrato funzionare del resto il modo in cui ActionAid organizza le adozioni a distanza, coinvolgendo nel progetto non solo un bambino, ma tutta la sua comunità, come abbiamo già visto. E insomma, visto che dietro ogni bambino c’è sempre, necessariamente, una donna, il collegamento non mi è sembrato inopportuno.

Oggi allora mi allontano per andare in Afghanistan, uno dei paesi dove essere donna e mamma è più difficile a livello mondiale. Avete presente Google Maps? Clicco sul meno e allargo la cartina, la allargo finché l’Italia non si vede quasi più, mi sposto a Oriente, prendo terra in Afghanistan e mi sintonizzo. Sì, mi sintonizzo su Rabhia Balki Radio.

Trasmette da Mazar-i-Sharif, una città spesso nominata durante la guerra contro il terrorismo islamico, ma lo fa con una voce femminile. È quella di Mobina, la sua fondatrice, trentenne giornalista e madre di un bimbo di due anni, la quale già ai tempi della scuola si accorse che certe cose non le piacevano.

Non le piaceva vedere il modo in cui le donne venivano trattate. Non le piaceva sapere che subivano ingiustizie e violenze. E tantomeno le piaceva vedere che in fondo nessuno se ne occupava. Così da grande ha deciso di occuparsene lei.

Nel 2003 ha fondato una piccola radio indipendente, intitolandola a una poetessa afghana brutalmente uccisa dal fratello, Rabhia Balki, una delle prime stazioni aperte dopo la caduta del regime talebano: oggi la seguono oltre 300mila persone a settimana, è la radio più ascoltata della zona nordorientale del paese, e dà lavoro a una trentina di persone, molte donne e una dozzina di uomini.

Mobina la dirige conducendo un programma che ha avuto un enorme successo, «Mani aperte», del tutto innovativo nel suo genere e nel suo obiettivo. Si tratta di una trasmissione di 40 minuti in cui alle donne afghane viene offerta consulenza legale.

Proprio così, Mobina, che ha seguito un corso di ActionAid per consulenza paralegale, parla con le sue connazionali, ma soprattutto ascolta le loro storie terribili, accoglie il loro desiderio crescente di giustizia e di diritti e dice loro come fare, seguendo la legge, a ottenerli entrambi. Una rivoluzione legale.

L’operazione ricorda un po’ i tempi in cui i mass media veicolavano formazione, prima ancora che informazione, come quando si insegnava l’italiano agli analfabeti tramite la tv di Alberto Manzi, storico conduttore di «Non è mai troppo tardi», negli anni ’60.

E analfabete di solito sono queste donne che prendono coraggio e telefonano a Mobina, che ha pensato alla radio come mezzo di sostegno proprio per ovviare a questo problema. È un’operazione di fondamentale importanza, se contate che l’87% delle donne afghane subisce violenza domestica. Significa 4 su 5. Violenze fisiche e psicologiche, matrimoni imposti, schiavitù sessuale, umiliazioni, abusi di ogni tipo, privazioni.

Per questo non si fanno nomi e cognomi, il rischio di ritorsioni è inaccettabilmente alto. Mobina elargisce consigli su tutto quel che può, aprendo la sua trasmissione anche ad avvocati e consulenti, sfruttando ogni modalità divulgativa, dal dibattito alla fiction e allo spot informativo.

Tramite il sito di ActionAid è possibile anche per noi che non viviamo in Afghanistan entrare in contatto con Mobina, lasciarle un messaggio di solidarietà, a lei e a tutte le donne afgane, e di incoraggiamento, visto che tutto quello che fa non è privo di rischi, dato che non incontra il favore delle autorità governative.

Ascolto la sua voce, ferma e quasi timida, nonostante dovrebbe essere omai avvezza al contatto radiofonico con la gente: ringrazia tutti quelli che la sostengono da chissà dove, dice che legge i nostri messaggi alle donne che le telefonano in radio, per dare loro speranza e farle sentire meno sole.

La sua voce mi riporta alla mia cartina di Google Maps, torno dalle mie parti, nella nostra Italia che non funziona troppo bene, ma dove certi diritti di minima sono garantiti, dove partorire non è una scommessa sulla vita, come avviene anche in Brasile, dove la violenza sulle donne è soprattutto domestica, ma con proporzioni molto diverse.

Spero di non sentire più parlare della trasmissione di Mobina. Lei è la prima ad augurarselo. Significa che la violenza sulle donne afghane non sarà più un problema. Ma la strada è ancora lunga.

 

[actionaid]