Ogni Natale è la stessa storia. Le letterine sono sotto l’albero, i regali indicati con chiarezza. Ma io preferisco fare di testa mia, sennò i miei figli non avranno nulla di cui recriminare nei loro blog tra trent’anni. Non vorrei privarli di questo piacere proprio io che di desideri inesauditi ne ho a ciuffi. Ma cosa dico, ciuffi: almeno sei.

  • La maglieria magica (che, se ci penso, la voglio ancora oggi): infilavi un capo del gomitolo negli appositi uncini, azionavi la manovella, et voilà! Ecco formarsi coloratissimi abitini per la Barbie. Mi sono sempre chiesta come mai gli adulti non capissero le infinite potenzialità di questo giocattolo: sarebbe stato sufficiente possederne una versione gigante da tenere in soggiorno e avremmo tutte potuto sfoggiare meravigliosi abiti tubolari. Babbo Natale ignorò sempre le mie richieste e per colpa sua non sono diventata la nuova Missoni, frustando allo stesso tempo desideri e carriere.
  • La casa della Barbie. “Non era poi questo granché” racconta oggi Cristiana, l’unica tra le mie conoscenze ad averla ricevuta in regalo e pertanto ancora oggi invidiatissima “Aveva sfondi di cartone con mobili disegnati, solo due piani e l’ascensore a manovella dove, oltretutto, Ken non entrava”. Sarà. Ma io,  quando ci passo davanti, ancora sospiro.
  • Il Dolce Forno. Basta nominarlo perché branchi di quarantenni si trasformino nelle seienni frustrate. Babbo Natale non ce lo portò mai, ché le nostre mamme – con cui aveva evidentemente stretto un accordo – lo trovavano ingombrante, sporchevole e seriamente pericoloso: erano tutte convinte che ci avrebbe fatto morire fulminate. Noi non capivamo. Era così evidente che solo il Dolce Forno avrebbe permesso di combattere la piaga della fame nel mondo!
  • Il cicciobello. Quello vero, intendo, non una di quelle versioni low cost che invece ci arrivavano. “L’ho desiderato per anni trovando sotto l’albero tutti i suoi succedanei, incluso un cicciobello nero venduto in offerta che però non era la stessa cosa”. Conosco una che, per compensare quelle frustrazioni infantili, ne ha regalate ben tre versioni. Ai suoi due maschietti, oggi adolescenti dallo spiccato senso materno.
  • I chiodini Quercetti. Non so nemmeno io perché esercitassero su di me tutta questa fascinazione. Fatto sta che Babbo Natale sembrava proprio non capire cosa fossero, sebbene io ne attaccassi le foto sulla letterina ritagliandole da Postal Market. Ma niente, non li ricevetti mai. E mai, nemmeno sotto tortura, confesserò che sono stati la prima cosa che ho acquistato col mio primo stipendio da adulta.
  • Le confezioni di perline per fare gioielli. Ecco, questo posso capirlo. Se la scatola che le conteneva si fosse rovesciata spargendo il suo contenuto a terra, sarebbe stato l’inferno. Peccato però, ché sarebbe stato così bello saper di dare vita a gioielli di valore inestimabile con le proprie mani! Il “mio” Babbo Natale, invece, ha portato infinite scatole di perline. Ad altri bambini però, ché mica sono scema. È facile capire a quali: sono quelli le cui mamme mi guardano con odio