Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un triste incremento di diagnosi di ADHD. L’acronimo (Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder) indica la Sindrome da deficit di attenzione ed iperattività. “Bambino iperattivo” è un’etichetta con cui facciamo spesso i conti, ormai anche nel linguaggio comune.

Grazie ad internet, ai media, alla velocità cui corrono le informazioni (anche col rischio di perdere qualcosa per strada per questa eccessiva “velocità”), il termine “iperattività” è diventato abituale, come spesso accade, senza conoscerne il reale significato diagnostico.

La sindrome ha degli indicatori precisi, descritti dal DSM (manuale diagnostico e statistico per i disturbi mentali). Tuttavia, oggi si affianca ad un fenomeno emergente e sempre più comune di bambini molto vivaci, distratti, o talvolta irrequieti, senza che per questo siano iperattivi.

Esiste ormai una larga fetta dell’opinione pubblica che sostiene la falsità di molte diagnosi di ADHD (in Italia e all’estero) legate non tanto alla competenza tecnica, quanto al vantaggio economico di molte prescrizioni farmacologiche.

Questa sindrome, infatti,  viene oggi prevalentemente curata con gli psicofarmaci. Inorridisco ancora al ricordo di una dichiarazione fatta dal dottor Michael Anderson, il quale sostiene che “in una società, è troppo costoso modificare l’Ambiente del ragazzo. Quindi dobbiamo modificare il ragazzo”.

Io credo che questo sia oggi un atteggiamento piuttosto diffuso, legato alla ricerca di soluzioni facili e più comode, che ci coinvolgano il meno possibile. Sarò dura in questa dichiarazione, ma in realtà il mio non è un “giudizio facile”, quanto la consapevolezza radicata di quanto sia difficile mettersi in gioco in prima persona in un processo di cambiamento.

La psicoterapia è un percorso duro, in salita, che richiede notevoli costi sul piano personale, non solo economico. Il primo, ritengo, supera di gran lunga il secondo.

La nostra è una generazione di genitori impreparati, per molti motivi; al versante opposto, è anche una generazione di genitori molto attenti, critici, desiderosi di imparare.

Coniugare questo desiderio con un percorso dai tempi lunghi non è semplice: conosco bene lo sguardo afflitto di chi apprende che la soluzione non è in una formula magica, in una semplice prescrizione, in uno schema “fai così e sarai felice”.

Il cambiamento è l’incontro del proprio disagio (del disagio familiare) e della volontà di mettersi in cammino senza sapere in anticipo cosa si incontrerà e per quanto tempo si dovrà camminare. Ecco perché è molto più semplice ricorrere ad una pillola che ad un percorso terapeutico.

Questo discorso, generico ma particolarmente calzante nel caso della diagnosi di iperattività , è una premessa necessaria alla trattazione di questo argomento.

Un farmaco può tamponare alcuni sintomi, ma non può essere risolutivo, soprattutto perché i suoi costi (in termini di danneggiamento del tessuto neurologico e muscolare di un bambino) sono altissimi soprattutto nell’età dello sviluppo.

Per questo le diagnosi devono essere fatte con estrema cautela, cosa oggi difficile per via degli interessi economici che la classe medica intreccia con l’industria farmaceutica.

Oggi l’iperattività dei bambini sembra essere più comune dell’influenza.
E ‘ fin troppo facile fare una rapida diagnosi di ADHD e poi rapidamente sborsare una prescrizione, ma questa è una soluzione pronta, che non rende giustizia al bambino.

Il bambino può avere altri problemi, traumi, dislessia, o malattia mentale, ognuno dei quali può apparire come l’ADHD e ognuno dei quali può, a sua volta, non essere compreso del tutto e ciascuno va trattato.

La diagnosi di ADHD richiede più di un occhio esigente: e con questo intendo che è necessario che ci siano diverse consulenze e che queste vadano oltre un’analisi superficiale.

Ci vuole sforzo per riconoscere l’impatto di altri problemi sullo sfondo. Ci vuole perseveranza (oltre che formazione specifica) per il medico, per lavorare non solo col paziente ma anche con i genitori , gli insegnanti, e per capire cosa sta realmente accadendo.

Sia chiaro, io non sono radicalmente contraria ai farmaci. Ci sono casi in cui alcuni bambini sembrano avere necessariamente bisogno di psicofarmaci per funzionare bene e avere una vita migliore. Ma gli altri bambini potrebbe aver bisogno di un’alternativa a questa terapia, o un’integrazione ad essa (ad esempio fondando un intervento sul piano relazionale).

La linea di fondo è che ogni bambino merita la ricerca di un equilibrio, una valutazione approfondita che permette a tutte le persone coinvolte di procedere in modo attento e riflessivo.
E anche quando i farmaci per l’ADHD sono indicati, dobbiamo ricordare che i farmaci da soli non sono mai sufficienti.

Marcella Agnone – Psicologa Psicoterapeuta

foto: medicinalive.com