Oggi vi chiediamo uno sforzo di immedesimazione, per capire meglio ciò che chiede la Fondazione l’Albero della vita.

#beatolui. L’immaginario collettivo pensa alle persone fortunate come a chi passa una bella vita, tra lusso e posti da favola. Mai ti immagineresti di guardare il sorriso sdentato e storto di un bimbo seduto su di una carrozzina sgangherata e dire #beatolui.

Facciamo un passo indietro e proviamo a immedesimarci. L’immedesimazione è un esercizio utilissimo, se lo facessimo tutti, ci sarebbero molte meno polemiche e molta più generosità…

Proviamo a immedesimarci in una mamma indiana povera, poverissima. Una famiglia numerosa, una baracca come casa e un figlio disabile. Tutto sulle sue spalle: le bocche da nutrire, il figlio disabile da accudire. Una vita scandita dalla solitudine e dall’emarginazione, che sono peggio della già terribile indifferenza. Un figlio disabile in una società come l’India fatta di caste è la fine. La famiglia di appartenenza viene bollata come portatrice di malocchio e allontanata da tutto.

E la mamma non ha alternative. O abbandona un figlio così, per poter permettere al resto della famiglia di sopravvivere, o, rassegnata e disperata, porta avanti una vita di stenti e di solitudine. Una vita senza speranza di miglioramento.

In un quadro così, per fortuna, ci sono oasi di amore. Una struttura locale (una diocesi) che comincia a prendersi cura dei bambini disabili e una fondazione italiana che decide di sostenere il progetto. Perché tutti abbiamo diritto a una speranza, anche i bambini disabili di uno sperduto villaggio dell’India.

#beatolui, a favore dei bambini disabili

La mamma sa che le alternative sono due: continuare la vita di solitudine, o cercare un sostegno. E allora due volte alla settimana si carica il figlio sulle spalle, un figlio che non sa stare in piedi, e cammina per ore pur di raggiungere il Day Care Center di Baraipur. Non ci sono condizioni atmosferiche che tengano: nel fango delle strade bagnate dai monsoni o nella polvere dei giorni più caldi e secchi, la fatica vale la pena. Perché lì la mamma ha capito che il suo bambino non è visto come il portatore del malocchio, ma come un bimbo che ha diritto a giocare, ad andare a scuola, a essere nutrito, diritto all’amore.

Al Day Care Center la mamma trova mani accoglienti, sorrisi e volti amici che la rincuorano, che le insegnano come prendersi cura di questo bambino. Trova una piscina per la fisioterapia, operatori che la informano su quali aiuti chiedere allo Stato, medicine e integratori per migliorare le condizioni del bambino.

Al Day Care Center la mamma assiste ai progressi del proprio bimbo, e capisce che non è da sola. Perché il problema dell’avere un figlio disabile per un genitore indiano, così come per un genitore italiano, è la solitudine quotidiana di chi deve portare un grosso fardello sulle spalle e spesso non ha nessuno che le dica: “Lo porto con te”.

Una mamma così è disposta a tutto pur di avere la possibilità di frequentare il Day Care Center e si riterrà certamente più fortunata di quelle altre (e sono tante, in India sono quasi 6 milioni i disabili under 19) che non hanno speranze.

#beatolui, a favore dei bambini disabili

Ecco perché la campagna #beatolui di Fondazione L’Albero della Vita. Per permettere al Day Care Center di offrire speranza, accoglienza e possibilità di avere una vita migliore a più bambini e più famiglie possibili.

Dopo esserci immedesimati, quindi, cosa possiamo fare?

Ciò che gli operatori della Fondazione L’Albero della Vita si augurano è di trovare non solo offerte per il Day Care Center, ma sostenitori, persone che si prendano a cuore il destino di uno di questi bimbi, ultimi tra gli ultimi, contribuendo a rendere migliore la loro vita e ad assicurare anche a loro il diritto di giocare, di studiare, di poter dire: “beato me”.

Per informazioni e donazioni:

#beatolui

Fondazione L’Albero della Vita

http://www.sostieniadistanza.org/progetti/india/i-bambini-disabili-non-li-abbandoniamo