Nuovi studi sul bilinguismo pubbicati su Psycological Science hanno messo in evidenza che chi pensa e parla in una seconda lingua compie scelte più razionali e ponderate. Sono stati condotti sei diversi esperimenti in tre continenti, in cinque diverse lingue: inglese, coreano, francese, spagnolo, giapponese. Le persone prese in esame avevano una buona competenza nella seconda lingua, anche se non erano bilingui bilanciati.

Uno degli esperimenti consisteva nel chiedere a un gruppo di madrelingua inglese – che avevano studiato spagnolo a scuola – di puntare dei soldi sul lancio di una moneta, per vedere se usciva testa o croce. Con 15 dollari a disposizione, avrebbero vinto 1,5o $ se indovinavano, ne avrebbero perso 1,00 se sbagliavano. Conveniva chiaramente puntare per 15 volte consecutive, perché in ogni caso il bilancio finale sarebbe stato favorevole a chi puntava. Tuttavia, di fronte alla richiesta in inglese le persone hanno scelto di puntare solo il 54% delle volte; di fronte alla stessa richiesta posta in spagnolo la scelta di puntare saliva al 71%.

In un altro esperimento è stato chiesto a un gruppo di medici quale di due programmi avrebbero scelto di seguire per salvare la popolazione da una rara malattia asiatica che avrebbe colpito a breve gli Stati Uniti uccidendo 600 persone:

-il programma A avrebbe salvato 200 persone;

-il programma B avrebbe salvato tutti nel 33 per cento dei casi, mentre nel 66 per cento dei casi non avrebbe salvato nessuno.

La maggior parte dei medici (72%) ha scelto il programma A, la strategia più sicura.

Se però l’alternativa veniva  posta al contrario, in termini di morte e non di sopravvivenza, la scelta della maggior parte dei medici si ribaltava.

Quindi, con un programma C che avrebbe ucciso 400 persone, e un programma D che non avrebbe ucciso nessuno nel 33% dei casi, ma tutti nel 66% dei casi, il 78% dei medici ha votato per D, il programma più rischioso.

La stessa incoerenza nelle scelte si è riproposta quando le alternative sono state presentate in lingua inglese a un gruppo di studenti americani. Ma quando le alternative sono state elencate ai madrelingua inglese in lingua giapponese, l’incoerenza è scomparsa: l’alternativa più sicura è stata scelta nel 40% dei casi, sia che le possibilità venissero presentate in termini di sopravvivenza, che di morte.

Contrariamente a quanto ci si potrebbe forse immaginare, quindi, sforzarsi di ragionare in una lingua diversa dalla propria porterebbe a riflettere maggiormente, compiendo scelte più razionali e meno emotive.

Il famoso drammaturgo Samuel Beckett, in effetti, nato nel 1906 in Irlanda e di madrelingua inglese, decise nel 1946 di scrivere esclusivamente in francese. Sono state scritte in lingua francese le sue opere più famose (da Molloy, a Malone muore, fino a Aspettando Godot). Sforzandosi di scrivere in una lingua diversa dalla sua, Beckett dichiarò di riuscire meglio a “scrivere senza stile”.

I bambini che crescono in un ambiente domestico bilingue – inoltre – hanno un maggior livello di autocontrollo e sembrano imparare meglio regole astratte.

Infine, alle persone che parlano due lingue viene diagnosticata la demenza in media quattro anni dopo rispetto a coloro che di lingua ne parlano una sola.

Sono queste ragioni sufficienti per imparare una seconda (o una terza e una quarta lingua) fin da piccoli? Sicuramente, ma il vantaggio maggiore deriva, secondo Lera Boroditsky, una psicologa di Stanford, dal fatto che

quando si imparano altre lingue si possono effettivamente parlare altre lingue, leggerne la letteratura, rivolgersi a persone nuove nella loro madrelingua, ascoltare le loro conversazioni sull’autobus, ordinare da mangiare al ristorante, abbordare un meraviglioso sconosciuto in piazza.

Tutte ragioni di gran lunga più interessanti per un ragazzo rispetto alla possibilità di compiere scelte più razionali, o al ridotto rischio di incorrere nella demenza senile.

Livia

Fonti: www.wired.com

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