Oggi posto un bellissimo articolo di Katia Amato Sgroi, che, come sempre, è una vera miniera di riflessioni che ci costringono a fermarci per un momento a pensare (o a ripensare) a noi stesse, al nostro ruolo, insomma, alla nostra vita, più in profondità. Ecco l’articolo:

“Bentrovate care ragazze! Non vi ho dimenticato.  Mi sono concessa del tempo per riflettere. E dalle mie riflessioni riga dopo riga, prenderà forma e sostanza questa lettera. Leggo e rileggo Blogmamma e quello che salta subito agli occhi è l’immensa mole di informazioni in esso contenute. Di qualunque cosa voi abbiate bisogno potete contare sulla collaborazione di consulenti, esperti e opinionisti di indiscussa competenza.

Siete molto fortunate!!!  Tutti si danno da fare per rendervi più semplice il compito di madre, di moglie, di figlia, di lavoratrice; di donna insomma! Quelle della mia generazione, a malapena potevano contare sui consigli di nonne, mamme e zie. Consigli spesso non richiesti e quasi sempre mal tollerati. Critiche tante, plausi pochi.

E’ stata la mia, una generazione cresciuta con i sensi di colpa succhiati insieme al latte materno. Non sempre brave figlie, qualche volte buone mogli, quasi mai giuste mamme. Ora siamo mediocri nonne ma purtroppo indispensabili.

I nostri matrimoni andavano male ma la mancata indipendenza economica o la scarsa dimestichezza con il concetto di divorzio o un esasperato senso dell’amore materno ci lasciavano ingabbiate in un rapporto logoro e snervante. Non facevamo una scelta lavorativa per dare priorità alla serena crescita dei figli e perché sposandoci molto giovani spesso non si arrivava a conseguire una laurea.

E, nel caso avessimo voluto e potuto lavorare, la maggior parte di noi andava a incrementare lo stuolo di insegnanti che sceglievano quel mestiere perché “era l’unico che ben si conciliasse con la famiglia”. Categoria di insegnanti che, diciamolo pure senza falsa ipocrisia, per la loro mancata predisposizione all’insegnamento e ancor di più per la loro incompetenza  hanno rovinato più di una generazione di giovani allievi.

Oggi il divorzio è una scelta di vita accettata e  giustificata da molti anche se non da tutti. Se la coppia scoppia il divorzio disperde i pezzi al vento e si è subito pronti per un nuovo sogno d’amore.

Il lavoro ormai non è solo un  mezzo per vivere ma diventa la vera sfida che una donna deve affrontare per ridare a sé stessa una identità e una collocazione paritaria in una società vissuta negli ultimi decenni come discriminante e maschilista.

A questo punto molte di voi si chiederanno: e allora? Detto questo quali sono le sue conclusioni? Dove vuole arrivare? Adesso ci farà una predica o un elogio? Tranquille, ragazze. Nessuna critica e nessun assenso. Solo tanta perplessità e confusione.

E qualche amletiano dilemma. Ho un figlio di 38 anni separato da due con un bimbo di 4 anni e mezzo. Dopo 14 anni di vita insieme tra fidanzamento, convivenza e matrimonio tutto è finito con una frase detta un mattino dalla moglie al marito: “Non sono felice. E se voglio fare felice mio figlio devo fare prima felice me stessa”. Giusto! Il diritto alla felicità è sacro. E se poi una tale affermazione viene detta da una psicoterapeuta ancor di più ha un senso compiuto.

Da allora sono passati 2 anni e mezzo.  Cosa dirvi? Io sono solo una nonna coinvolta suo malgrado nei vari spostamenti strategici di un bimbo in affidamento congiunto che di volta in volta chiede ” dove dormo stanotte? Chi mi viene a prendere oggi? Posso stare 105 giorni con papà e 3 con la mamma? Quando viene giovedì?”

Lei ha trovato la sua felicità? Lui è riuscito a ricucire lo strappo di una famiglia svanita? Non so cosa ci sia nei loro animi, ma se gli occhi sono lo specchio dell’anima ho buoni motivi per credere che i lavori in corso per il raggiungimento della felicità siano bloccati da un pezzo.

Si è vero: avete tanti aiuti, tanta indipendenza, tanta libertà mentale. Avete raggiunto insospettati traguardi, vi siete liberate da fardelli pesanti e da umilianti pregiudizi, avete preso in mano la vostra vita e vi piace pensare di essere sole alla guida con un aiuto pilota non indispensabile.

Ma permettetemi di avere delle perplessità; permettetemi di dubitare della grandiosità dei falsi successi; permettetemi di esitare dinanzi alla vostra spasmodica ricerca dell’amore da fiction; permettetemi di essere allarmata dinanzi alla solitudine di questi adolescenti che per non sentirsi soli hanno bisogno di presenze virtuali gentilmente concesse da costosissimi aggeggi.

Ma, soprattutto, permettetemi di chiedervi scusa. A nome della mia generazione scontenta  ed egoista che ha creduto di farvi felici usandovi come mezzo di rivalsa per le proprie frustrazioni.

Perché vi abbiamo fatto credere che si poteva essere felici essendo liberi. Perché vi abbiamo fatto credere che apparire era meglio che essere e che avere una figlia notaio era molto più gratificante che avere una figlia casalinga. Perché non abbiamo saputo darvi il senso del tutto nelle piccole cose.

Scusateci, se potete, e cercate di essere migliori di noi nel dare ai vostri figli voi stessi per intero e non una parte di un tutto che in verità non esiste”.

Ciao,  Katia

Articolo di Katia Amato Sgroi