Qualcuno di voi ricorderà di avere studiato a scuola la figura di Sisifo, condannato da Zeus a spingere per l’eternità un enorme masso fino alla cima di una collina. Non appena in cima il masso rotolava puntualmente e inesorabilmente giù, dall’altra parte della collina, e così la fatica di Sisifo non aveva mai fine.

Il mito mi ha colpito a tal punto che ci ripenso di frequente, soprattutto da quando sono diventata mamma. Spesso mi immedesimo in Sisifo, nelle mie fatiche quotidiane di genitore.

Si tratta tutto sommato di fatiche di poco conto, ma immaginate che queste si ripetano diverse volte al giorno (e se siete genitori avrete ben poco da immaginare, perché sono certa che vi succede già) per un numero imprecisato di anni.

Vi faccio alcuni esempi: state mettendo le scarpe a vostra figlia di un anno e mezzo, siete di corsa e lei non si lascia preparare di buon grado, mentre le infilate la seconda scarpa lei si sfila la prima, e così ricominciate il giro;
siete riusciti a ottenere che vostro figlio più grande riordini la sua stanza prima di andare a dormire e, mentre lui con fatica mette via i binari del treno, la piccola rovescia tutti i vagoni appena riposti;
avete da poco riassettato la cucina e uno dei due figli vi dice che ha ancora fame, si prepara latte e cereali e ne fa cadere un buon numero sul tavolo, sulla sedia e per terra.

In queste circostanze mi capita, a seconda dello stato d’animo e del livello di stanchezza, di manifestare una calma olimpica, oppure di esplodere in un moto di rabbia improvvisa, incapace di gestire la frustrazione che sento crescere dentro di me. Mi chiedo se abbia senso passare la giornata a dire e fare sempre le stesse cose, senza ottenere in apparenza alcun risultato.

Nei momenti di calma olimpica invece, purtroppo più rari, mi convinco che il segreto sta nell’apprendere la via dello yoga: nessun attimo è mai uguale a se stesso, la crescita sta proprio nel ripetere la stessa posizione (e quindi la stessa frase, la stessa azione) milioni di volte, con un’attenzione sempre nuova e diversa, sviluppando l’attitudine all’ascolto e all’osservazione.

Il prevalere di un atteggiamento piuttosto che dell’altro, come vi dicevo, è molto legato a come mi sento. E così a volte sbraito per poco o niente, altre volte rispondo con pazienza e tolleranza a qualcosa di ben più grave.
Capiranno i miei figli che il mio tipo di reazione varia a seconda di come sto, e non a seconda di quello che fanno?
Capita anche a voi di essere così umorali nella relazione con i vostri bambini?