Quali sono gli esami da fare in gravidanza nel primo trimestre?

Vediamo insieme la serie di analisi e test utili per  monitorare la crescita del futuro bebè e avere la conferma che tutto proceda per il verso giusto.

Gli esami del primo trimestre di gravidanza

BetaHCG

Questo esame del sangue è il primo passo da compiere dopo aver fatto il test di gravidanza.

Si può chiamare il ginecologo per farselo prescrivere oppure, se non si vuole aspettare andare direttamente in un laboratorio d’analisi per effettuare l’esame.

Si tratta di un semplice prelievo del sangue che misura la quantità di BetaHCG in circolo.

Sono gli ormoni che il corpo comincia a produrre in risposta al cambiamento di condizione in atto, la conferma indubitabile dell’esito del test di gravidanza, che comunque di per sé è già molto affidabile.

Visita ginecologica

Ovviamente tra gli esami da fare nel primo trimestre di gravidanza vi è la visita ginecologica.

Durante la prima visita, il medico effettuerà un’ecografia interna, confermando il corretto avvio della gravidanza.

Se non vi conosce, il ginecologo chiederà informazioni sulla storia clinica della futura mamma, se ci sono malattie familiari da segnalare, ad esempio ipertensione o diabete. Annoterà il peso e indicherà una data presunta per il parto.

Esami del sangue e delle urine

Il ginecologo prescriverà anche gli esami del sangue e delle urine.

Fra questi, è importante escludere Hiv, rosolia, epatite e toxoplasmosi.

Se si è negativi alla toxoplasmosi, allora il test andrà ripetuto periodicamente perché l’infezione, soprattutto nei primi mesi, è pericolosa per il feto.

Per quanto riguarda la rosolia, l’ideale sarebbe averla già avuta o essere vaccinate. In caso contrario, vale il discorso precedente, il valore andrà ricercato anche nei successivi esami.

Se non se n’era già a conoscenza, verrà prescritto un esame anche per il papà per stabilire il gruppo sanguigno e la negatività per Hiv ed epatiti.

Esami per le malattie genetiche

La maggior parte delle donne viene indirizzata dal proprio ginecologo verso test non invasivi quali la traslucenza nucale e il bitest allo scopo di escludere la sindrome di Down, l’anomalia cromosomica più comune.

L’esame va fatto fra l’undicesima e la quattordicesima settimana di gestazione e offre un’alta percentuale di efficacia, ma non la sicurezza assoluta. La traslucenza nucale si basa infatti su un calcolo statistico. Viene misurato il liquido che si forma dietro la nuca del feto e il dato viene interpretato all’interno di determinati parametri statistici.

Per escludere in maniera certa la presenza della sindrome di Down e di altre trisomie, è necessario invece sottoporsi DNA fetale.

Sono entrambi esami invasivi che presentano un lieve rischio di aborto spontaneo, calcolabile attorno all’1 per cento. Differiscono per il tipo di procedura e per l’epoca in cui si effettuano: la villocentesi fra l’undicesima e la tredicesima settimana, l’amniocentesi fra la sedicesima e la diciottesima.

In alternativa può essere effettuato, a totale carico della partoriente (tranne che in Emila Romagna che in Toscana dove p gratuito) il test del DNA fetale. Questa analisi permette di individuare i soggetti a rischio di sviluppare una delle trisomie più frequenti : la 13 (sindrome di Patau), la 18 (sindrome di Edwards) e la 21 (sindrome di Down). Chiamato anche Non Invasive Prenatal Test (NIPT) permette un risultato del 99 per cento e riduce anche il numero di casi dubbi e di conseguenza, il ricorso agli esami più invasivi.

Per escludere alcune malattie genetiche, si effettuano particolari esami ematici volti a ricercare condizioni specifiche quali fibrosi cistica, anemia mediterranea, sordità congenita, atrofia muscolare spinale e sindrome dell’X fragile.