Il 24 e il 25 settembre scorsi si sono riuniti a Bruxelles quasi 150 esperti provenienti da oltre 30 paesi europei per discutere le opportunità legate all’apprendimento precoce delle lingue, e la possibilità di apprendere fino a due  lingue straniere già in epoca prescolare, una locale (di un paese confinante o di una minoranza linguistica) e una internazionale. La data del convegno è stata fissata in concomitanza con il 26 settembre,

data scelta dall’UE per festeggiare la giornata europea delle lingue.

Letizia, l’ideatrice del blog bilinguepergioco, di cui vi abbiamo parlato in passato, ha preso parte al convegno e ne ha riportato alcune impressioni in un suo post.

Al convegno è stato proposto lo slogan 3 L B4 6, ovvero three languages before 6: un po’ troppo, forse? Non si rischia di farcire la mente dei nostri figli con un eccesso di informazioni, destinate a a creare solo una grande confusione? In realtà il bilinguismo porta con sé solo vantaggi, come ho scritto in un post di alcuni mesi fa. E la campagna Piccolingo, che l’UE promuove per sensibilizzare genitori, insegnanti, associazioni e istituzioni nei confronti del bilinguismo, lo conferma: i bambini che imparano una o più lingue straniere in epoca prescolare hanno maggiore facilità a comunicare, imparano a memorizzare le parole giocando, e arrivano a scuola più preparati, sono più aperti e di larghe vedute, si sentono a casa in ogni nazione, avranno maggiori possibilità di trovare un buon lavoro, capiscono che la cultura straniera è uno stimolo e non una minaccia, apprezzano maggiormante la loro cultura.

Ma veniamo ora alle note dolenti: al convegno gli esperti concordavano unanimemente sul fatto che la scuola ha fallito nel compito di insegnare le lingue ai bambini – non solo la scuola italiana, ma la scuola dei 30 paesi europei i cui esperti hanno preso parte al convegno.

E probabilmente la situazione italiana è tra le peggiori. Vi parlo di quello che conosco per esperienza personale, ma magari qualcuno di voi ha avuto un’esperienza migliore della mia: mi farebbe piacere se la volesse condividere.

Gli asili nido privati prevedono spesso la presenza di un’educatrice di madrelingua inglese, o comunque con un buon livello di conoscenza della lingua inglese, che affianca le educatrici di madrelingua italiana per tutta la giornata o per qualche ora, rivolgendosi ai bambini esclusivamente in inglese. Un’esperienza utile e interessante, anche se i bambini non escono ovviamente bilingui, secondo l’opinione di un’amica ,la cui figlia frequenta il secondo anno in un nido di questo tipo; ma se non altro comprendono che ci si può esprimere anche in lingue diverse dall’italiano. Negli asili nido comunali e statali, invece, non mi risulta che esista alcun progetto di questo tipo, purtroppo.

Per quanto riguarda la scuola dell’infanzia, continua la disparità tra l’offerta del privato e del pubblico. A Milano nel 2004 era stato avviato un interessante progetto della durata di tre anni per insegnare la lingua inglese ai bambini di 5 anni delle scuole dell’infanzia comunali, sostenuto dall’Università degli Studi di Milano – Bicocca. Le insegnanti di inglese erano laureate in lingue che ricevevano un’adeguata formazione per lavorare con i bambini. Dopo tre anni di sperimentazione, avendo raggiunto l’obiettivo di coprire tutte le scuole comunali, si è deciso di procedere alla formazione delle educatrici, che – pur avendo in molti casi scarse conoscenze della lingua inglese – sono state invitate a frequentare un corso annuale perché potessero poi proporre l’inglese ai loro bambini. Lo scorso anno scolastico quindi le insegnanti esterne di inglese sono state praticamente eliminate, e l’insegnamento dell’inglese è stato lasciato alle poche educatrici, che, per passione e buona volontà, hanno proposto ai bambini, verso la fine dell’anno, quello che avevano imparato. Per quest’anno non si ha ancora nessuna novità; l’inglese non è evidentemente una priorità di questa amministrazione né di questo governo, a dispetto di quello che si cerca di far credere.

La scuola primaria non va certo meglio: anche qui le insegnanti specializzate, senza laurea, che hanno frequentato un corso di abilitazione, si stanno via via sostituendo alle specialiste, che la laurea l’avevano, ma che costavano evidentemente di più. Ma le specializzate non sono presenti in ogni classe, quindi devono farsi carico anche di un’altra classe, o, in casi sfortunati, come succede da mio figlio, di due altre classi; le ore cedute alle altre classi vengono rese dalle maestre delle classi che ne usufruiscono, e quindi i bambini che hanno un’insegnante specializzata si troveranno ad avere due maestre aggiuntive, che coprono le ore che lei fa altrove. Nella scuola di mio figlio, dove l’anno scolastico è iniziato decisamente male, si discute anche l’opportunità di ridurre le ore settimanali di inglese alle quinte, portandole da 3 a 2, perché manca il personale e la dirigente non intende nominare nessun altro. No comment.

Certo che il multilinguismo per noi è ancora un obiettivo molto, molto lontano, se contiamo esclusivamente su quello che offre la scuola, perlomeno quella pubblica. Molto si può fare, tuttavia, se l’iniziativa parte da noi, se riusciamo a trasmettere ai nostri figli l’amore, o anche solo la curiosità per altre lingue. Il blog bilinguepergioco è ricchissimo di spunti: ci proviamo?

Immagine: cyberlibrarynews.wordpress.com