Molte donne sono attirate dall’idea di partorire in acqua, ma ancora relativamente poche riescono a realizzare questo loro desiderio. Il primo medico che ha sperimentato il parto in acqua è un russo, Igor Tjarkowskij. Dopo di lui Michel Odent, ginecologo francese, autore di libri tradotti in varie lingue – tra cui “L’acqua e la sessualità” – ha contribuito alla diffusione del parto in acqua in Francia.  Ormai anche in Italia sono numerosi gli ospedali attrezzati per il parto in acqua: trovate un elenco a questo link.

Osservando i parti in acqua si è rilevato che:

– il dolore si attenua;

– i tempi di travaglio si accorciano;

il numero di episiotomie si riduce.

L’acqua infatti agisce a vari livelli: facilita il rilassamento della muscolatura e aumenta la produzione di endorfine, che sono analgesici naturali, e di ossitocina, responsabile delle contrazioni uterine che innescano il travaglio e rendono possibile il parto. Infatti, tramite l’acqua la donna si isola con maggiore facilità dal mondo esterno, entra in contatto con la sua parte più profonda, lasciando agire l’ipofisi, la parte più antica del cervello, che è responsabile della produzione di ossitocina.

Come si è detto è più raro che sia necessario intervenire con un’episiotomia, ma anche con altre operazioni  esterne poco gradevoli come la manovra Kristeller, che è dolorosa e pericolosa (è vietata in molti paesi europei), ma ancora diffusa in Italia. Questi interventi infatti non solo sono inattuabili in acqua, ma non si rendono neanche necessari, dato che l’acqua rende più efficace il travaglio la fase delle spinte.

Per quanto riguarda invece le possibili controindicazioni, non sono stati rilevati per il nascituro né rischi igienici, né il pericolo di inalare l’acqua: il riflesso apneico è funzionate, quello faringeo stimola la deglutizione, nel caso che l’acqua entri nel cavo orale.

Non è possibile partorire in acqua solo in presenza di importanti patologie della mamma o del bambino: gestosi, ipertensione arteriosa, iposviluppo fetale e sofferenze fetali.

Se volete partorire in acqua, dimenticatevi però l’anestesia epidurale: una cosa esclude l’altra, perché il catetere inserito per somministrare l’analgesico non può essere immerso in acqua. Valutate quindi in anticipo rispetto al parto se preferite un tipo di analgesia farmacologica, oppure se trovate più interessante affidarvi al potere del vostro corpo di generare endorfine, con l’aiuto dell’acqua.

Se i vantaggi sono così tanti rispetto agli svantaggi, perché ancora poche donne sfruttano questa possibilità?

Innanzitutto gli ospedali che offrono il servizio non hanno ancora una diffusione capillare. Inoltre, anche laddove è possibile partorire in acqua, il numero di vasche è limitato, quindi può succedere di trovare la vasca già occupata. E infine, forse, non tutto il personale medico e paramedico è preparato e desidera seguire un travaglio e un parto in acqua. La tradizione è dura a morire!

Se siete assolutamente convinte di voler partorire in acqua, e ne avete la possibilità, è consigliabile secondo me rivolgersi a strutture private come la Casa di Maternità La Via Lattea di Milano, che consente di partorire in un appartamento con l’assistenza di due ostetriche, dove, se lo desiderate, sapete che la vasca per il parto sarà a vostra disposizione.

Il meraviglioso parto in acqua con delfino, che è il filo conduttore del film “Il primo respiro” e di cui vedete un’immagine nella foto qui sopra, è probabilmente un’esperienza riservata a pochissime, ma magari qualcuna di voi lettrici ha partorito in acqua, in ospedale, in casa o in casa di maternità: ci raccontate la vostra esperienza? Sarebbe interessante sentire la storia di chi ha avuto un parto naturale, fuori dall’acqua, e uno in acqua, in modo che possa raffrontare le due esperienze.

Immagine: mathieu.lechenault.free.fr

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