Ho avuto occasione recentemente di vedere un bel film di Sean Penn, uscito al cinema l’anno scorso e dal titolo Into the Wild; narra la storia di un giovane ragazzo che, appena laureato, decide di lasciare la sua famiglia per cercare se stesso, la propria libertà e verità, forse anche Dio, nella selvaggia natura dell’Alaska…

Questo intervento non vuol certo essere la recensione del film, che vale la pena di vedere se non lo avete già fatto, quanto piuttosto le mie riflessioni sul fatto che, per qualche freudiana associazione di idee, la visione di questo film mi ha richiamato l’idea di trasgressione e il poco spazio che lascio a mio figlio per trasgredire.

Se mangia un cioccolatino di nascosto, subito la paternale sulla fiducia; se chiude la porta della sua camera, giù allora col discorsetto che se non si vuole far vedere allora è perché sa che sta facendo qualcosa che non andava fatta; se risponde in malo modo ad un compagno od amico, scatta la filippica sull’educazione e sul rispetto; e via dicendo…

Non dico che tutto questo non sia giusto, mi chiedo soltanto se certe volte non sia il caso di chiudere un occhio, almeno su quelle piccole trasgressioni che non investono l’ambito del rispetto e dell’educazione. Il rischio altrimenti è forse quello di “schiacciare” troppo i nostri figli, e allora dopo probabilmente sì che la trasgressione diventerà ingestibile e aggressiva verso tutti i principi coi quali abbiamo cercato di crescerli.

Anch’io – e probabilmente anche voi – qualche marachella di nascosto dai genitori l’ho: un ritardo con un alibi a ripensarci ridicolo, una “bigiata” per saltare un’interrogazione, un futile acquisto non giustificato; eppure non posso dire di non aver assimilato i valori che i miei genitori mi hanno trasmesso.

Se catechizzato all’eccesso, forse un bambino rischia di non dare il giusto peso a tutti i nostri divieti  e magari un domani butterà via il bimbo insieme all’acqua sporca.