Sono una persona molto “fisica”; ho proprio bisogno di manifestare ed esternare affetto ed amore con abbracci, coccole e baci. Ogni tanto mi prendo il mio gattone e lo strapazzo di grattini, se a letto non tocco coi miei i piedi di mio marito non trovo il mio rito per addormentarmi, con mio figlio poi non ne parliamo…

Mi è sempre piaciuto coccolargli i capelli, accarezzargli le guanciotte, abbracciarlo forte, tenerlo per mano, e tanti altri piccoli gesti affettuosi solo nostri, che non sono però mai caduti nell’invadenza morbosa.

Ha compiuto 9 anni. E’ da un po’ che recalcitra di fronte alle mie manifestazioni di affetto. Così di fronte a un suo “dai, mamma, non vedi che sto facendo?”, oppure “mamma, basta, con questi baci!” ripeto fra me e me: “Ha compiuto 9 anni. E’ proprio sano e naturale che le mie coccole lo infastidiscono, è un maschio. E’ giusto che trovi un altro modo di relazionarmi a lui”.

Devo confessare che, nonostante sia perfettamente convinta di quanto la mia parte razionale mi suggerisce, la mia parte più emotiva rimane piuttosto ferita dalla sua ritrosia. E trovare un giusto equilibrio tra le due componenti non è certo cosa facile.

Ho provato allora a mettermi nei suoi panni, a immaginare cosa provi mio figlio nel sentir superare quello che lui considera “il suo spazio”. Devo dire che un certo fastidio, come un senso di soffocamento per un abbraccio troppo stretto, l’ho provato anch’io, nonostante non sia in fase di crescita e quindi bisognosa di affermare la mia identità.

Ho optato per una risposta di rispetto nei confronti delle sue esigenze; gli chiedo “Manù posso darti un bacio?” e, guarda caso, la sua risposta è sempre positiva. Forse nel formulare con una domanda il mio bisogno gli ho così comunicato di aver capito il suo, ed essere stata in grado di rispettarlo?

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