Le statistiche cambiano ogni anno, ma il fenomeno è noto: dopo la nascita dei figli le donne italiane si interrogano sull’opportunità di continuare o meno a lavorare e la percentuale di coloro che rinunciano alla propria occupazione cresce in proporzione al numero dei figli.

In rete e con le amiche ho affrontato discussioni feroci sul tema: se le motivazioni di chi sceglie di occuparsi della famiglia a tempo pieno sono plausibili (carenza di strutture, assenza di aiuti, costi proibitivi degli asili, difficoltà di conciliare lavoro e famiglia) le mamme che non hanno alcuna intenzione di rinunciare ad attività che sono fonte di reddito, realizzazione di sé e relazioni sociali biasimano la decisione delle prime, ritenuta in grado di generare ricadute negative nella società tutta.

È un punto di vista che condivido. Per questo, incontrando in rete Anna Paci e Beatrice Martini, ho fatto un salto sulla sedia quando hanno dichiarato di aver entrambe lasciato le proprie attività per occuparsi a tempo pieno dei loro primogeniti.

Anna e Beatrice non sono persone qualunque: sono fondatrici di Doanbe, il primo social network dedicato all’incontro tra domanda e offerta di lavoro che coinvolge 20 mila utenti registrati e reso possibili, solo nel 2014, seimila contatti tra aziende e persone in cerca di occupazione. Un progetto che ha avuto riconoscimenti importanti, primo tra tutti il premio Women like you promosso da Pandora, azienda  danese del settore della gioielleria che ha premiato Doanbe quale migliore azienda al femminile tra 1600 partecipanti.

Com’è stato possibile che proprio due persone animate da spirito imprenditoriale abbiano rinunciato alle proprie attività? Gliel’ho chiesto.

Anna, Beatrice, perché avete ritenuto incompatibile vita lavorativa e famiglia?

B: Ad un certo punto della mia vita ho sentito il desiderio di avere un bambino. Mio il desiderio, mia la responsabilità. Alla nascita ho ritenuto corretto dargli il massimo in termini di tempo e di attenzione. Avevo la fortuna, che non molte persone hanno, di poter smettere di lavorare e non ci ho pensato due volte a farlo. Quando i suoi bisogni mi hanno lasciato più tempo libero mi sono rimessa in pista.

A: so che risulterò impopolare, la verità è che nella mia precedente esperienza lavorativa, che mi ha messo a contatto con tanti bambini, ho osservato, a volte con sofferenza, il bisogno dei piccoli di avere la mamma nel periodo evolutivo più importante nella crescita di una persona: l’infanzia. Ho una figlia e sono tutt’ora felice di aver avuto la possibilità di fare questa scelta.

Ve ne siete mai pentite?

B: No. La maternità è stata una mia scelta e proprio grazie a mio figlio ho conosciuto la mia socia ed oggi posso dedicarmi ad un’attività che amo e nella quale credo moltissimo.

A: no, la maternità è molto faticosa, ma è un percorso che arricchisce anche noi donne.

Ritenete che la maternità offra delle risorse in più o costituisca un freno al lavoro?

Bea e Anna: La maternità non è tutelata in modo efficace né per quanto concerne le madri, né per quanto concerne i datori di lavoro.
In un paese civile dovrebbero esistere strutture in grado di aiutare concretamente le famiglie (anche quelle degli imprenditori e dei liberi professionisti!) a prendersi cura dei figli fin dai primi mesi di vita.
Mancano gli asili nido e quelli che ci sono hanno costi allucinanti. Manca un qualsiasi servizio di assistenza in caso di malattia dei bambini persino i pediatri di base a volte sono difficilmente reperibili.
Oggi le uniche donne che possono permettersi di avere un figlio e contare su qualche garanzia sono quelle che hanno un contratto a tempo indeterminato. Tutte le altre devono arrangiarsi!
E quindi cosa succede? Molte donne, giustamente, aspettano di avere un contratto di lavoro stabile prima di avere un figlio, di fatto comportandosi in modo scorretto nei confronti dell’azienda che le assume.
Un giorno un imprenditore mi ha detto: “Donne giovani non ne voglio. L’assunzione a tempo indeterminato funziona meglio di una procedura di fecondazione assistita. E poi non le rivedi più per anni.”.
Un orco? No, un uomo che se assume una persona è perché ne ha bisogno e vuole poterci contare. Ma come fai a contare su una mamma che non ha il minimo aiuto da parte delle istituzioni? Di fatto quindi la maternità è un freno per una donna.
È un impasse dal quale si potrebbe uscire solo con azioni decise e mirate.

Avete qualche statistica sulle mamme che cercano una nuova collocazione attraverso Doanbe ?

Si arriva al 23% degli iscritti al portale. É chiaro che quasi tutte hanno bisogno di un part- time per conciliare l’impegno con la famiglia.