Avere a che fare con i propri confini non è mai facile. Per qualsiasi motivo, avere sempre la chiarezza di quali sono i nostri bisogni e sapere quando dire di no è un compito che continua per tutta la vita.

Molte volte abbiamo letto, riguardo allo sviluppo del bambino, che un neonato non ha una chiara consapevolezza di sé, che non sa dove finisce lui stesso e inizia la persona (mamma, papà) che si prende cura di lui. Le sue sensazioni, non ancora perfettamente elaborate, sono pervasive e totalizzanti. Questi sono i primi contatti che ciascuno di noi ha con la vita, con l’ambiente esterno, sin dalla vita intrauterina.

Col tempo i bambini imparano che loro non sono “il mondo”, che l’Ambiente è separato da se stessi, che i loro poteri hanno dei limiti. E’ l’inizio di quel processo che Winnicott chiama “separazione-individuazione”, e che è un punto nevralgico della nostra esistenza: è lì che si crea il “confine di contatto” tra noi e l’Ambiente.

In questa lunga fase, che dura per tutta l’infanzia, il bambino costruisce i suoi confini personali, gli stessi che per tutta la vita ciascuno di noi deve accudire, curare, difendere e arricchire come il prato del proprio giardino personale.

Il modo in cui questi confini si costruiscono definisce il nostro modo di stare in relazione col mondo.

Quanti tipi di confine?

Esistono persone deboli e manipolabili, persone rigide e isolate, persone indecise ed esitanti, ed infine persone flessibili e capaci di scegliere.

E’ facile essere bravi con le persone gentili, ma le personalità forti demoliscono i nostri confini, li invadono.

Alcuni di noi pensano che compiacere gli altri ci rende persone più gradevoli ed apprezzabili. Pensano che essere accondiscendenti rende la vita più sicura, e di essere in questo modo amati di più.

Quando fanno i conti con la frustrazione che tutto questo comporta, scoprono che non è così: dietro le quinte sorge per loro un sentimento spesso irriconosciuto di risentimento e delusione per la vita.

Fare spesso il punto della situazione chiedendosi se ci stiamo prendendo cura di noi stessi, oltre che degli altri, è un meccanismo-chiave per il nostro equilibrio.

Come pensare ai propri confini

Quando in terapia si lavora su questo tipo di problema, si chiede spesso “cosa vuoi?”. Inizialmente le persone non sanno rispondere: sono troppo abituate a adattarsi, mimetizzarsi coi bisogni degli altri, da tanto tempo.

Nelle piccole come nelle grandi cose, fare il punto della situazione per capire cosa si vuole davvero è un esercizio che porta benessere. Vuoi andare al ristorante o mangiare a casa? Vuoi fermarti dopo l’orario di lavoro o pensi che non sia giusto? Se ti trovi in questa situazione allenati a resistere alla tentazione di mettere da parte le tue preferenze e le tue opinioni.

I nostri “confini” esistono anche se non li pensiamo o non li comunichiamo: spesso crediamo che tacere ed evitare il conflitto sia un modo di risolvere i problemi. In realtà lasciare che gli altri decidano per noi senza rispettare i nostri confini significa iniziare una serie di problemi. E’ come mettere la testa sotto la sabbia.

Visualizzare se stessi con la capacità di reggersi in piedi, ad esempio, è un modo di definire i propri confini, e ci aiuterà a trovare il coraggio di dire o fare qualcosa di un po’ scomodo nel qui-ed-ora, invece che lasciare che esploda successivamente (perché lo farà, prima o poi).

E’ difficile avere confini saldi rispetto ad un capo prepotente, ad un genitore troppo esigente, ad un compagno che amiamo troppo, persino davanti a dei figli troppo richiedenti. L’amore è una di quelle situazioni che ci porta a non rispettare i nostri confini.

A volte l’altruismo può essere un brutto difetto, persino l’altra faccia del nostro narcisismo.

Ma c’è molto sollievo nel poter dire come ci si sente veramente. Si evitano molte liti e rancori, e tante incomprensioni.

A volte dimentichiamo che gli altri non sono in grado di leggere la nostra mente per comprendere come stiamo, e comunicarlo in modo “pulito” è un modo di prendersi cura di noi e della relazione.