In questi giorni si è parlato molto di aborto.

40 anni e non sentirli

Proprio quest’anno infatti la Legge 194  promulgata il 22 maggio del 1978,  che ha regolarizzato l’accesso all’aborto nel nostro Paese ha compiuto quaranta anni.

Con questa legge l’aborto ha smesso di essere illegale. Confinato negli scantinati o negli ambulatori improvvisati.

La 194 ha permesso alle donne di richiedere l’interruzione di gravidanza all’interno delle strutture ospedaliere. Ha decriminalizzato il ricorso all’aborto e ne ha disciplinato l’accesso.

aborto legge 194

I dati sull’aborto in Italia

Dal 1982 gli aborti sono in calo. Nel 2016 le regioni hanno registrato 84.926 interruzioni volontarie di gravidanza, il 3,1 per cento in meno del 2015.

Ma l’altra faccia della medaglia dell’aborto in Italia resta l’obiezione di coscienza. 

Il 70 per cento dei medici si dichiara obiettore (dati Ministero della Salute). In alcune regioni come il Molise e la Basilicata che raggiungono rispettivamente il 97 e l’88 per cento se il medico che pratica l’interruzione di gravidanza si ammala, le donne che la richiedono sono costrette a spostarsi altrove.

Inoltre c’è ancora molta difficoltà ad accedere all’aborto farmacologico. La pillola RU486 può essere assunta infatti solo in ospedale entro la settima settimana di gravidanza.

L’aborto farmacologico

L’aborto farmacologico è possibile in Italia dal 10 dicembre del 2009. Si può accedere a questa procedura entro i primi 49 giorni dal concepimento. Quindi solo in uno stadio molto precoce della gravidanza. Questo perché nel periodo successivo il rischio di non riuscita e di complicazioni potrebbe essere superiore rispetto all’attesa.

La paziente che sceglie di affrontare la via dell’interruzione farmacologica deve essere obbligatoriamente ricoverata per la durata del trattamento.

Dopo avere effettuato alcuni accertamenti preliminari, la paziente assume per bocca una prima pillola.

Questo farmaco blocca lo sviluppo embrionale e induce il distacco del feto dall’utero, determinando la fine della gravidanza. Nell’arco di alcune ore viene poi somministrato un secondo farmaco, contenente prostaglandine, che fa contrarre l’utero e consente il suo svuotamento in modo autonomo, senza bisogno di un accesso chirurgico.

L’interruzione farmacologica non è indicata in caso di allergie o ipersensibilità della paziente verso una o più componenti, e i suoi effetti collaterali possono manifestarsi sotto forma di tachicardia momentanea, eritema cutaneo, qualche disturbo intestinale. Vi è poi il rischio di emorragia locale, a causa dell’azione del farmaco che provoca lo sfaldamento dell’endometrio, lo strato più interno della mucosa uterina.

Per questo la paziente viene tenuta in osservazione per diverse ore in seguito al trattamento.

Come accedere all’aborto in Italia

Una donna in Italia può effettuare un’interruzione volontaria di gravidanza in una struttura pubblica entro i primi 90 giorni.

Se è un aborto terapeutico entro il quarto o quinto mese.

Per accedere alle procedure per l’interruzione volontaria di gravidanza la donna deve presentare un certificato che accerta lo stato di gravidanza e un documento che attesta la volontà di interromperla.

7 giorni per ripensarci

Dal momento in cui si presentano i documenti richiesti bisogna rimanere in attesa per sette giorni, stabiliti come il tempo necessario a escludere ogni possibilità di ripensamento.

Dopo questa settimana, se la donna non ha cambiato idea, può recarsi presso una struttura idonea e ottenere l’interruzione attraverso due modalità: l’aborto farmacologico e l’aborto strumentale o chirurgico. Se poi il dottore sul certificato pone la dicitura «urgente», si può anche non aspettare i 7 giorni, ma andare direttamente ad abortire.

Aborto e minori

Se si è minorenni bisogna essere accompagnati da un genitore, oppure nel caso in cui non ci siano i genitori o non li si voglia informare, è l’assistente sociale che si rivolgerà al giudice dei minori, per far sì che quest’ultimo rilasci un certificato per l’autorizzazione all’aborto.