Era celebre la copertina di un disco rock degli anni ’90, dove un bambino di pochi mesi nuotava beato sott’acqua seguendo una banconota appesa a una canna da pesca. Allora mi era sembrata una cosa stupefacente, e in qualche modo misteriosa. Com’era possibile? E perché far correre questo rischio a un neonato?

In realtà non solo si tratta di un fatto estremamente naturale per i piccoli che, ancora memori dell’esperienza intrauterina e non frenati dalle paure che cominceranno a sorgere intorno agli 8-10 mesi, riescono per istinto ad andare in apnea, ma anche importante per il loro futuro sviluppo psico-fisico.

Da un lato infatti la possibilità di nuotare in piena autonomia li arricchisce di un bagaglio emotivo e percettivo stimolante per la crescita e la scoperta di sé, mentre il supporto e la vicinanza del genitore li aiuta a sentirsi più sicuri e a sviluppare fiducia nelle proprie capacità: in un ambiente sereno capiranno che non hanno nulla da temere.

Dall’altro è un’attività che favorisce la formazione dell’apparato scheletrico e che rinforza quelli cardiocircolatorio e respiratorio, oltre a far sperimentare al bambino situazioni che lo avvantaggeranno nella vita di tutti i giorni, attraverso l’uso per esempio di tappeti galleggianti atti a consentirgli col tempo di imparare a gestire l’equilibrio e la motricità.

Ma il nuoto neonatale può essere utile anche alla madre che, in preda alle ansie tipiche dei primi mesi di maternità, può rilassarsi più facilmente e instaurare col proprio piccolo un legame fatto di reciproca conoscenza, vicinanza fisica e quindi di una più profonda intimità.