Sempre a proposito di scuola, volevo riportare le considerazioni che ho letto tempo fa in un articolo di Lucetta Scaraffia (non ricordo su quale rivista) circa la notizia giunta dall’Inghilterra, dove in Parlamento è stato proposto – in tema d’istruzione – un emendamento rivoluzionario, il quale prevede che a decidere in merito alla disciplina, al cibo e al programma di studi siano i bambini stessi, a partire dai cinque anni.

L’obiettivo è quello di coinvolgere gli alunni, farli diventare dei protagonisti della loro istruzione, visto quanto spesso risultino apatici e svogliati, senza curiosità alcuna o stimoli costruttivi. A parte il fatto che tale idea è impossibile da realizzare per materie che richiedono memorizzazione e rielaborazione, rimane che questa proposta inglese porta alle estreme conseguenze l’impostazione pedagogica dominante nella seconda metà del Novecento, che non ha poi dato risultati granchè soddisfacenti.

Negli anni Quaranta, ne era stato precursore B.Spock, con la sua teoria sull’accudimento dei neonati:

non più orari prestabiliti, né tappe obbligatorie, ma ogni madre doveva seguire i desideri del bambino, facendolo mangiare e dormire quando voleva lui. Ne sono venuti bambini capricciosi e madri esauste, e lo stesso pediatra, già una decina d’anni dopo, ha fatto ammenda, dichiarando che un po’ di regole erano necessarie”.

La svolta antiautoritaria del Sessantotto ha comportato nelle scuole, anche elementari, una didattica “attiva”, che mirava cioè a suscitare nell’alunno interesse per i contenuti delle materie che deve studiare, non riconoscendo il fatto che i bravi insegnanti sono sempre riusciti ad appassionare i propri allievi, più grazie ad un rapporto di fiducia e quasi empatia che non al particolare interesse per la materia ( io stessa ho scelto il mio percorso di studio perché una mia insegnante del liceo mi aveva conquistato alla sua materia!).

La scuola si è così sempre maggiormente appiattita sul livello degli alunni, invece che su quello degli insegnanti, producendo ogni anno studenti meno preparati; e la verità di questa affermazione è sotto gli occhi di tutti, visti gli esiti sconfortanti dei recenti esami.

Per questo, concordo in pieno con quanto sostiene l’autrice di questo articolo:

Non si tratta solo di preparazione linguistica o matematica, ma più in generale di preparazione alla vita: perché, se non chiedi ai ragazzi di dare il meglio di sé, di sforzarsi per un obiettivo non immediato, ma a lunga scadenza e al momento poco gratificante, essi non sapranno mai cosa sono in grado di fare. Saranno ragazzi insicuri, che non conoscono le loro possibilità, che non hanno imparato a disciplinare i propri sforzi per raggiungere un risultato. In sostanza, che non hanno imparato a vivere e a impegnarsi per ottenere quello che desiderano nella loro vita”.

E’ sul quel “chiedi ai ragazzi di dare il meglio di sé” che mi vorrei un attimo fermare: nessuno meglio di noi mamme sa quanto difficile sia trovare il “giusto mezzo”. Sono stata troppo autorevole? O troppo arrendevole? Ho ecceduto con la mia ansia di protezione? Dovevo essere più presente? Sono le domande che ogni giorno ci poniamo, e nel risponderci cerchiamo di trovare un giusto equilibrio fra gli estremi.

Questo vale anche per gli stimoli che dobbiamo “passare” ai nostri figli… quel “chiedi ai ragazzi di dare il meglio di sé” non sempre equivale a quello che è il “loro” meglio, perché spesso tendiamo a confonderlo con quello che è il “nostro” meglio.

Ecco… riuscire a trovare quello che è il meglio proprio di mio figlio, credo sia la cosa che mi riesce maggiormente difficile! E a voi?

Immagine: altromarsupio.org