Parto cantato?  Su Blogmamma abbiamo parlato di ogni tipo di nascita ma questa proprio ci mancava. Così ho deciso di contattare Elena Skoko l’autrice del libro “Memorie di un parto cantato” per saperne un pò di più.

Elena è un’artista. Canta e scrive. Nasce in Croazia e vive tra Bali, Roma e Pola. Insieme al suo compagno ha formato una blues band Bluebird & Skoko con la quale si esibiscono in tutto il mondo. Ma è soprattutto una donna e una mamma.

Elena ha partorito con il metodo della Lotus Birth. Una metodologia in cui dopo il parto naturale, il bambino non viene separato meccanicamente dalla placenta e dal cordone ombelicale, ma si attende che il processo avvenga naturalmente. Dopo la nascita della sua bambina ha deciso di impegnarsi nella diffusione di una visione del parto e della maternità il più naturale possibile. Non lontano dalla scienza e dalla medicina ma con la consapevolezza del ruolo dell’ostetrica e del salvaguardare il rapporto mamma e bambino che un pò in tutto il mondo si sta perdendo a tutto vantaggio di una “ospedalizzazione” del parto.

La tua esperienza sembra quasi una favola vuoi per la cornice paradisiaca dell’isola di Bali vuoi per le parole d’amore con cui hai descritto ogni singolo momento. Tu parli di possibilità di scelta che viene negata alla donna, perchè giustamente ricordi come in tanti stati e per tante donne, il modello ospedaliero di parto sia  l’unico possibile o l’unico che gli venga proposto. Secondo te che ruolo dovrebbero avere l’ostetrica e parlaci di Ibu Robin, la guerrilla midwife, l’ostetrica che gestisce la clinica Yayasan Bumi Sehat dove “il parto dolce guarisce Madre Terra”. Una donna straordinaria che ha vinto il premio “CNN Hero of the Year ” nel 2011 per il suo impegno in tutto il mondo.

Quando sono rimasta incinta, ho scoperto che mi ero imbarcata proprio in quel tunnel buio del quale avevo paura. Pur essendo una donna istruita, non sapevo niente della gravidanza né del parto. Ho letto tanti libri e ho seguito i racconti di tante donne che oggi in internet condividono le loro esperienze in modo diretto e immediato. Ho visto filmati e documentari che parlavano del parto. Mi sono guardata intorno e ho capito che non volevo partorire nell’ospedale, benché non sapessi all’epoca come avrei fatto altrimenti.

Quando ero al sesto mese, leggendo tutti quei libri, mi sono ricordata che mia nonna aveva partorito quattro volte a casa, inginocchiata sopra il suo letto, appoggiata a suo marito. Mia madre è nata così. Io sono stata la prima generazione nata all’ospedale. Eppure, quei tempi mi sembravano così lontani…

Stando a Bali per la metà dell’anno, un’amica mi ha passato il numero di telefono dell’ostetrica Ibu Robin Lim che praticava il modello di assistenza basato sulla scienza, sull’esperienza e sull’amore.

Quando siamo andati a trovarla nel suo centro nascite Bumi Sehat (una clinica gratuita che si basa su donazioni), mi ha accolta con un abbraccio e un sincero “I Love You!” Mi veniva da piangere. Mi ero accorta che tutto quello di cui avevo bisogno era mia madre, e tutte le madri dietro di lei.

Per me Ibu Robin rappresentava proprio questo, l’esperienza e la sapienza di tutta la parte del mio albero genealogico materno di cui abbiamo perso la memoria.

Benché la mia bisnonna fosse una guaritrice e una levatrice tradizionale, noi, sue discendenti, avevamo perso completamente la memoria di quei saperi. Guardandoci intorno io e il mio compagno notavamo i visi radianti delle madri che avevano partorito alla Bumi Sehat. Erano bellissime, senza segni di sofferenza, e tenevano i loro neonati in braccio e sulla tetta circondate da familiari, bambini e ostetriche sorridenti.

Elena Skoko

Parlando con Ibu Robin avevo capito che lei praticava normalmente tutto quello che io desideravo e che pensavo fossero richieste ambiziose, particolari, esagerate: il parto fisiologico indisturbato, analgesia non-farmacologica come la vasca d’acqua calda, il massaggio, l’omeopatia, la medicina tradizionale cinese, inclusa l’agopuntura e il moxa, il canto, la libertà di movimento.

In più praticavano il lotus birth (l’astinenza dal taglio del cordone ombelicale) e il rispetto per la placenta. Argomentava ogni scelta sia con supporto di evidenze scientifiche che sul rispetto della dignità umana della madre e del bambino. Ma, l’ingrediente principale della cure che prestavano in quel luogo era l’amore.

Non mi permettevo nemmeno di considerare quello che immaginavo fosse un lusso inarrivabile, un desiderio egoistico e segno di debolezza e vizio – una cura amorevole. Invece era quello di cui maggiormente avevo bisogno come donna incinta e alle prime armi.

Il parto cantato è stata una tua personale interpretazione del parto assistito. “Il dolore non dura più di un verso” grazie al canto sei riuscita a controllare il tuo dolore. Ci racconti meglio questa esperienza il tuo esser riuscita a superare il passo biblico “Partorirai con dolore”.

Iniziare a cantare durante il travaglio è stato spontaneo. Io sono una cantante e dopo tanti anni di pratica non mi vergogno più a cantare in qualsiasi circostanza, se mi viene di farlo. Così, quando iniziava l’onda della doglia, io intonavo una delle canzoni che io e Roberto avevamo composto durante la mia gravidanza. Era particolarmente dolce e sembrava adatta.

Cantare mi permetteva di passare attraverso quell’esperienza insolita senza essere sopraffatta dalla paura.

Come quando canti in una stradina buia o in mezzo al bosco di notte. Cantando mi accorgevo che in fondo la sensazione intensa che provavo non era poi così lunga e ingestibile e che aveva una fine misurabile, dopo la quale seguiva un’onda di piacere e riposo, e che le due sensazioni si alternavano. Durante la gravidanza mi è capitato di leggere i libri di Verena Schmid che, da grande ostetrica illuminata e saggia donna, scrive che il passo biblico è stato tradotto erroneamente dall’originale aramaico e che benché la Bibbia non avesse in grande considerazione le donne, all’inizio non le aveva punite con il dolore ma con le doglie – cioè uno sforzo fisico intenso, ma non necessariamente una sofferenza. Ho scoperto addirittura che esisteva il parto orgasmico come racconta il documentario di Debra Pascali-Bonaro.

La medicina cinese, la sapienza delle massaggiatrici giavanesi, il ruolo dell’ostetrica. C’è un passo nel tuo libro in cui racconti di tua nonna in Croazia e di come ci sia stata un’interruzione della sapienza della medicina tradizionale tra le generazioni. La tua esperienza costituisce una sorta di saldatura tra tutto questo la cosiddetta “benedizione della nonna”?

Mi piacerebbe pensare che fosse così. Purtroppo, i saperi che aveva mia bisnonna sono irrimediabilmente persi. Io non saprò mai quello che sapeva lei, perché lei non li ha passati a nessuno. 

Appena partorito mi sentivo una tigre, mi sembrava di avere tanta di quella energia che se qualcuno avesse tentato di prendermi la mia bambina l’avrei smembrato all’istante. Non l’ho mollata un solo momento, se non per darla in braccio a suo padre quando uscivo dalla vasca. Appena nata, Koko si è adagiata nel mio abbraccio e poco dopo anche la sua placenta è stata posta a fianco a lei, ancora attaccata e pulsante. Vi è rimasta per tre giorni, dopo di ché il cordone si è staccato da solo dall’ombelico. Non ci sono state altre priorità se non quella di permetterci di godere del nostro innamoramento reciproco e adorarci per quello che sembrava un tempo infinito.

La consapevolezza di aver superato questa esperienza con le mie forze, mi ha dato una sferzata di potere che non conoscevo, collegandomi a tutto il mio albero genealogico, fino al primo archetipo femminile, e forse guarendo delle ferite che sembravano irreparabili.

Se io non potrò sapere quello che sapeva la mia baba Mara, posso invece sapere quello che sa Ibu Robin Lim, Ina May Gaskin, Verena Schmid, Michel Odent, Frédérick Leboyer e tanti altri specialisti della nascita che nel nostro mondo moderno sanno ancora come nascono i bambini e sono custodi delle nascite e della potenza delle donne, una forza che non temono.

Dovremmo trovare un modo che rispetti pienamente il processo di nascita e i sui partecipanti. Un modello di cura basato sulla figura autonoma dell‘ostetrica, la professionista sanitaria del parto. Ed è in questa direzione che si muovono la Comunità Europea, l’Organizzazione Mondiale della Sanità e alcuni paesi occidentali orientati verso la medicina basata sulle evidenze e centrata sul paziente (Regno Unito, Paesi Bassi, Nuova Zelanda). Paesi in via di sviluppo hanno capito che con la tecnologia non riusciranno a diminuire la mortalità materna e neonatale, ma con le ostetriche sì.

Più che la benedizione delle nonna, mi auspico il rispetto dei diritti umani nel parto e nella nascita.

Concludi il tuo libro affermando che ogni donna è diversa e il messaggio che lanci è che le tue scelte sono il risultato della ricerca del meglio per vostra figlia. Tutti hanno diritto di conoscere e sperimentare il “trattamento bambino felice”?

Qui possiamo parlare della libertà di scelta, è un nostro diritto costituzionale.

La nostra società ci offre questa possibilità e noi dovremmo poterla esercitare liberamente. Quando una donna vuole partorire in casa, questo non dovrebbe essere un problema, né legale, né burocratico, né sociale, e nemmeno economico.

Fino a poco tempo fa (fino al 1978) le donne potevano essere assistite nel parto in casa dalle ostetriche condotte. Non era un servizio a pagamento. Anche oggi in Italia le donne possono partorire a casa e possono essere assistite da ostetriche professioniste, lo fa circa 0.1% delle donne. Ma, solo in alcune regioni questa assistenza potrà essere rimborsata. Questa non è una vera scelta. In più, la maggior parte dei cittadini è convinta che questa sia un’opzione illegale, pericolosa e irresponsabile.

Sono però convinta che la medicina allopatica non è l’unico, né il migliore modo per trattare il parto e la nascita. Ci sono tanti altri modi che sono efficaci e più adatti in alcune circostanze, mentre in altre si può preferire la tecnologia e la chirurgia.

Oggi conosco tante realtà e persone in tutto il mondo che praticano il parto gentile, il rispetto e le cure amorevoli e basano la loro pratica su prove di efficacia. Spesso però, le nostre scelte nella nascita non sono governate dalla disponibilità delle informazioni e dalle prove, ma dall’influenza culturale e sociale che esercita l’ambiente in cui viviamo. Anche certi interessi economici esercitano una forte pressione sulle nostre scelte, senza che noi ne fossimo consapevoli.

Nel tuo libro c’è un passo in cui citi Cesare Giacobbe il quale sostiene che le persone dovrebbero diventare genitori solo quando sono talmente sommersi dall’amore che non possono far altro che spargerlo liberamente generando nuova vita, senza chiedere niente in cambio. La tua maternità nasce da un percorso di consapevolezza del tuo essere donna e partner. Hai vissuto la tua esperienza come un rito di passaggio e iniziazione. Ci racconti le tappe più significative.

Fino all’età di 35 anni pensavo che non avrei avuto figli. Ero cresciuta nel mito apocalittico della sovrappopolazione…Inoltre, avevo paura del parto e del dolore. Per me il parto rappresentava un mistero senza fine e per niente bello. Un buco nero. Un vuoto che non prometteva bene. Un tunnel senza luce.

Ecco, io ho desiderato la maternità quando ho conosciuto un uomo che provava lo stesso estatico e sublime piacere e gli piaceva l’idea che questo potesse continuare fino alla fine del tempo e che potesse anche produrre frutti che avremmo amato incondizionatamente.

Cesare Giacobbe scrive dei libri divertenti e parla in modo scherzoso del sublime, che ormai non ha più spazio nella nostra cultura se non in veste ironica. Michel Odent dice che la nostra cultura sta diventando una cultura senza amore, perché il modo in cui nasciamo non permette al cocktail di ormoni dell’amore a scatenarsi in tutta la sua pienezza per poterci permettere di innamorarci perdutamente e incondizionatamente dei nostri figli e priva loro della stessa esperienza. Il nostro primo imprinting è quello che ci portiamo dietro per tutta la vita.

Memorie di un parto cantato