Oggi vi voglio parlare una pratica ancora abbastanza insolita, ma sempre più nota, anche se non ancora diffusa: quella di lasciare il cordone ombelicale del bambino appena nato integro, unito con la placenta, fino al momento in cui non si secca e si stacca da solo.  Occorrono da due a dieci giorni perché questo avvenga, ma mediamente ne passano tre o quattro. In questo periodo la mamma e il neonato devono vivere a strettissimo contatto. La placenta va conservata in un contenitore in prossimità del piccolo, sciacquata e avvolta in un telo di cotone, finché il cordone non si stacca naturalmente dall’ombelico del bambino.

Perché fare questo, vi chiederete?

Aspettare a recidere il cordone consente al neonato di ricevere tutto il sangue placentare disponibile, non solo una piccola parte. Si rinforzano così da subito le riserve di ferro del neonato e il suo sistema immunitario. La respirazione autonoma si avvia con gradualità, non vi è un distacco brusco e immediato da un organo che ha accompagnato il piccolo fin dal suo concepimento, ed è ancora alla nascita parte integrante del suo corpo. Bisogna ricordare che neonato e placenta vengono dalla stessa cellula, hanno quindi il medesimo DNA. Inoltre, venti minuti dopo la nascita la placenta continua a pulsare; il neonato reagisce se la si tocca, o se si tocca il cordone, quindi vi è una sensibilità da non trascurare.

La pratica prende il nome da Clair Lotus Day, che nel 1976 convinse i medici a non recidere il cordone ombelicale di suo figlio. In Italia è stato tradotto un libro di Shivam Rachana che parla dell’argomento: “Lotus Birth – il parto integrale”. E’ stata fondata inoltre un’associazione che lo promuove. Esiste al momento in Italia un unico ospedale – mi risulta – dove il personale si è interessato all’argomento, in seguito alla determinazione di una donna che ha ottenuto, contro l’opinione di tutti i medici, di lasciare integro il cordone di sua figlia: si tratta dell’ospedale di Asola, in provincia di Mantova.

Questa pratica va sicuramente in controtendenza rispetto alla moda di conservare il sangue del cordone ombelicale per eventuali futuri scopi terapeutici. Può sembrare scomoda, se non addirittura ripugnante, l’idea di prendersi cura di un organo nell’attesa che secchi. Porta però con sè il fascino di un rituale, e sull’importanza della ritualità intorno alla nascita ci sarebbe molto da scrivere.

Io non ho fatto questa esperienza, ma con il secondo parto ho avuto modo di aspettare un paio d’ore il secondamento naturale della placenta, allattando a lungo mia figlia prima di recidere il cordone. Con il primo parto invece, a causa di meconio, tutto è stato più rapido, brusco e traumatico; non mi sono neanche resa conto del taglio del cordone di mio figlio, che è avvenuto immediatamente alla nascita, mentre il secondamento mi è stato stimolato con un’iniezione. Inutile dire che l’esperienza con la secondogenita è stata più intensa ed emozionante.

Leggo che se si aspetta a recidere il cordone si hanno sul bambino benefici non solo fisici, ma anche psicologici: maggiore stabilità interiore, senso di completezza e integrità, capacità di basarsi sulle proprie risorse, maggiori fiducia, autostima, benessere.

Voi cosa ne pensate?