Mia sorella Silvia vive in Nuova Zelanda, cioè nell’altra pagina dell’Atlante geografico.

Là funziona tutto al contrario: è inverno quando da noi è estate, l’acqua scende nello scarico ruotando in senso antiorario e le scuole sono belle.

“Il nostro preside sta andando in Cina, ospite del governo cinese, per imparare metodi d’insegnamento all’avanguardia da implementare nella nostra scuola” racconta Silvia “Abituata al nozionismo fine a se stesso, mi entusiasmano questi nuovi metodi importati attraverso scambi culturali. I nostri ragazzi non studiano in maniera tradizionale ma entrare in una classe elementare o media, da questa parte dell’Emisfero, è come fare un salto nel futuro”.

“Sono assolutamente d’accordo!” conferma Federica, mamma di cinque e residente ad Ackland “Avendo quattro bambini scolarizzati, mi sono resa conto di quanto sia diversa qui la vita degli studenti. Vengono insegnate l’indipendenza nell’apprendimento, la capacità di organizzare il proprio tempo e quella di saper presentare il proprio lavoro. L’amore per la lettura è incoraggiato, Ipad e computer sono strumenti didattici ordinari. La scuola inizia alle 9 ma i miei figli premono se alle 8.30 non sono già lì e durante le vacanze estive contano i giorni che li separano dall’inizio delle lezioni. Anche se la maggior parte dei miei connazionali in Nuova Zelanda non condivide, io sono convinta che il nozionismo sia un concetto superato”.

Ascolto sgomenta. Solo la sera prima io e mia figlia Lara, prima media, siamo state a ripassare le date del periodo bizantino e a memorizzare le temperature medie dei paesi dell’Europa continentale.

“Cose dell’altro mondo, appunto” Asserisce Silvia “a cominciare dall’interactive learning: Ipad e laptop collegati a whiteboards interattive ad altezza di bambino e accessibili a tutta la classe. I bambini vengono stimolati a partecipare attivamente all’apprendimento, a intervenire coi propri compagni (peer mediation programmes) e a fare revisioni con i propri compagni sul lavoro di classe. I miei escono di casa alle 8, giocano, fanno sport, aiutano in biblioteca fino all’inizio delle lezioni”.

“Anche i miei, Silvia!” continua Federica “I banchi in realtà sono dei tavolini che possono essere disposti come si preferisce. Non esistono posti fissi. In classe ci sono cuscinoni per sedersi a terra, sgabelli dondolanti, divani. I ragazzi imparano un metodo di studio e di critica, divertendosi. Però non sanno le nozioni. In genere chi fa questa critica si riferisce a nozioni strettamente legate al mondo europeo – come se noi chiedessimo a un bambino italiano di spiegarci le ragioni del Trattato di Waitangi – e se chiedi a che servono queste nozioni rispondono che è per la professione futura. Ma tu hai mai visto un medico che non può esercitare perché si è scordato le Guerre Puniche?”
Adesso sono demoralizzatissima.

“Non ti preoccupare, Rossella” mi consola mia sorella “Poi al college, che sarebbero le superiori, si disfa tutto il bel lavoro fatto fino alle medie. Bullismo estremo, insegnanti svogliati, classi divise per abilità degli studenti, per cui sei gia’ discriminato a seconda della classe assegnata. I ragazzi abbandonano a 16 anni senza qualifiche, le materie studiate sono discutibili”.

“Inoltre” aggiunge Tommaso, altro italiano emigrato “a dispetto dell’aspetto scintillante del contenitore, ho spesso l’impressione i contenuti non siano curati quanto dovrebbero”

Sarà, ma io contino a pensare agli edifici fatiscenti in cui le mie figlie hanno frequentato le scuole elementari, ai prefabbricati grigi, al linoleum vecchio di quarant’anni, alla mancanza di spazi verdi in cui prendere respiro, alla Lim sbandierata come totem di un’avanguardia estrema, agli insegnanti demotivati e alle temperature medie dei Paesi dell’Europa continentale.

E mi lascio sprofondare nello sconforto.