Sempre più università anche in Italia convertono in inglese l’insegnamento di alcune materie: meraviglioso, si direbbe di primo acchito. Ma sembra che non sia così, per due ordini di ragioni. Innanzitutto, perché sembra impossibile reclutare sufficiente personale docente di madrelingua inglese. I docenti italiani quindi, che – per quanto conoscano bene l’inglese, e anche su questo si può dubitare, difficilmente hanno la competenza di un madrelingua – si trovano a dover preparare lezioni in una lingua che non è la loro, impoverendone necessariamente i contenuti.

Inoltre, anche gli studenti, che a loro volta devono studiare e riuscire ad esporre concetti in una lingua diversa dalla loro, si trovano inevitabilmente in difficoltà. Il risultato? Da un lato, avremo un appiattimento e un impoverimento del sapere, trasmesso e recepito in una lingua povera, limitata. Dall’altro, se non si svilupperanno più ricerche e studi in italiano, la nostra lingua non avrà più parole adatte per esprimere i concetti della modernità.

In Tanzania, come pure in altri paesi ex-coloniali dell’Africa, si sta riscoprendo ora l’importanza di un sapere trasmesso nella lingua madre, dopo decenni in cui l’unica lingua utilizzata nell’insegnamento è stata quella coloniale.

Scrive Diego Marani, nel suo blog su www.ilfattoquotidiano.it:

L’eliminazione della lingua madre da determinati settori della vita di un paese, può minacciare la coesione sociale e la vitalità di una lingua, creando nella nostra società una nuova divisione per ceti linguistici. La giusta via è un corretto multilinguismo, insegnato in modo coerente fin dall’infanzia e dalla scuola pubblica. Solo così ogni individuo avrà sufficiente padronanza di almeno due lingue e potrà anche affrontare studi superiori in una lingua straniera, cogliendo in modo equilibrato ogni opportunità che offre la globalizzazione senza perdere la propria cultura.

Vi lascio a questo punto con un nuovo quesito, che anche io mi pongo: si può durante l’infanzia e attraverso la scuola pubblica trasmettere un “corretto multilinguismo”?

Ne riparleremo.

Livia

Fonti: www.ilfattoquotidiano.it

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