Quando mia figlia praticava ginnastica ritmica da agonista, i suoi professori non erano affatto contenti.

E avevano assolutamente ragione: la ragazza era una studentessa incostante e le sue tre ore di allenamento quotidiano – a cui si aggiungevano le gare del fine settimana –  non aiutavano.

Ma c’era qualcosa di più: avevo la netta impressione che l’impegno sportivo di mia figlia, come quelli degli altri atleti della scuola, fosse considerato poco più che un capriccio dei ragazzi a cui genitori lassisti non sapevano opporsi.

“Signora, ma perché spende i soldi per la palestra quando già a scuola gli facciamo fare due ore di ginnastica a settimana?” domandava la preside quando le chiedevo i permessi per consentire a Erika di partecipare alle gare nazionali.

“All’età di sua figlia fanno bene gli sport di squadra. Lasci perdere la ritmica e la iscriva a pallavolo!” suggeriva invece la professoressa di Lettere, come se le discipline sportive fossero intercambiabili.

Nonostante la difficoltà di conciliare scuola e attività agonistica, non ci pensavo proprio a ridurre il carico di lavoro di Erika: lo sport aveva trasformato la mia timidissima e complessatissima figlia in una ginnasta capace di affrontare da sola una giuria. Le aveva insegnato capacità di concentrazione, presenza a se stessa, senso di appartenenza alla società e spirito di squadra. L’aveva resa autonoma nello studio e in grado di organizzare i tempi della giornata in modo da affrontare compiti e allenamenti. Le aveva insegnato a trovare la forza per superare frustrazioni e sconfitte.

Last but not least, il tempo dedicato allo sport era sottratto a videogiochi e centri commerciali (oltre a rivelarsi un eccezionale strumento di contenimento delle paturnie adolescenziali).

Insomma: per me le attività sportive pomeridiane avevano le stesse finalità della scuola e, al pari di questa, erano uno strumento di educazione e crescita personale.

Peraltro, nemmeno le ore curriculari di educazione fisica sembravano godere di grande considerazione.

I ragazzi delle scuole medie le saltavano allegramente con scuse senza fantasia, mentre nella scuola elementare della secondogenita erano demandata al buon cuore dei volontari delle società di atletica. Le insegnanti le sacrificavano volentieri per far posto ad altre urgenze, oppure le negavano per punire una classe particolarmente agitata.

Quando Lara frequentava la quarta, le ore di ginnastica vennero saltate per quasi l’intero anno scolastico. Il motivo: i materassini in gommapiuma non garantivano a sufficienza l’incolumità dei piccoli atleti. Nessuno dei genitori trovò da ridire.

“Ho l’impressione che la Scuola consideri lo sport come un vezzo dal sapore vagamente fascistoide” mi ha confidato l’altroieri Luca, padre di due promesse del rugby “Così preferisco che i docenti non sappiano degli impegni pomeridiani dei miei ragazzi. Oltretutto potrebbero pensare che io viva attraverso loro le mie ambizione frustrate di ex rugbista e questo mi spiacerebbe molto, perché è assolutamente vero”.

Intanto Edumoto, l’associazione che raccoglie i professori di educazione fisica e scienze motorie e sportive, denuncia l’ulteriore taglio di fondi per lo sport a scuola dando voce a quello che era solo una mia sensazione: la mancanza di una cultura dello sport, fuori e dentro la Scuola.

Eppure, come dicevano i latini? Mens sana… e poi non me lo ricordo più.