Marina non è una ragazza alla ricerca della propria identità sessuale: ha 44 anni, due figli adolescenti – una ragazza di quattordici e un ragazzo di dodici – e un ex marito. Cinque anni fa, dopo storie difficili e tormentate, si reinnamora: di una donna, con cui condivide figli e quotidianità. La sua è una famiglia rainbow

Marina, come hai incontrato la tua compagna e com’è stato accettare la propria omosessualità in età adulta?

Dopo alcuni anni dalla separazione dal papà dei miei figli e dopo l’ennesimo rapporto eterosessuale fallito, mi sono chiesta se davvero le mie esperienze giovanili con ragazze (che poi ammontavano ad una esperienza effettiva e qualche cottarella senza conseguenze) non fossero la strada che avrei dovuto continuare a perseguire da allora, invece di re-incanalarmi in un classico binario di vita sul modello eterosessuale.
Il problema era che a diversi anni e due figli di distanza, non avevo assolutamente idea di come avrei potuto conoscere una donna interessata a me. Non mi ero ancora resa conto che le lesbiche e bisessuali sono tutte intorno a noi. Semplicemente soffrivo di un pregiudizio ancora fin troppo vivo: quello di dare per scontata l’eterosessualità di chiunque incontriamo, a meno di non avere inconfutabili prove di diverso orientamento sessuale.
Alla fine poi la mia compagna mi è stata banalissimamente presentata da un amico comune. Un appuntamento a tre in birreria è stato il pretesto. Io a quell’appuntamento non ci volevo andare e neanche lei era proprio convinta, invece sono quasi cinque anni che stiamo insieme. Anche lei era reduce da una precedente esperienza eterosessuale: era infatti separata da suo marito, col quale non aveva avuto figli.

Come l’hai presentata ai tuoi ragazzi? E loro hanno avuto difficoltà ad accettare il vostro amore?

Il lato “positivo” della presunzione di eterosessualità è che ho potuto presentare inizialmente la mia compagna senza dire loro niente oltre al nome e loro hanno dato per scontato che fosse un’amica, cosa che peraltro è: non riuscirei ad avere il rapporto che ho con lei se non fosse anche mia amica, se non potessi avere di lei la stima ed ammirazione che ho.
La questione del dire loro che era la mia compagna l’ho dovuta prima affrontare con me stessa e solo quando sono stata realmente pronta e convinta ho fatto il mio coming out ufficiale. Ho ritardato di diversi mesi principalmente perché dopo tanti rapporti deludenti e non sapendo come sarebbe andata la storia tra noi (chi lo sa all’inizio?), non volevo correre il rischio che riponessero speranze in quel rapporto finché non avessi avuto almeno una ragionevole speranza che sarebbe stato duraturo.
E poi c’era la classica strizza da coming out, quella roba terribile che ti prende allo stomaco, ti sussurra in un orecchio di tutte le storie terrificanti – e, purtroppo, a volte vere – di famiglie lacerate, figlie e figli che rifiutano madri e padri dichiaratisi omosessuali. La vocina è veramente odiosa e anche bugiarda per omissione visto che non racconta delle tantissime esperienze positive, quale è poi stata senza dubbio la mia.
Alla fine, quando ho ritenuto fosse il momento giusto, ho racimolato tutto il coraggio che avevo ed ho “confessato” ai miei figli che la mia “amica” era in realtà la mia compagna. Inizialmente c’è stato un po’ di stupore, più che altro credo perché pur sapendo dell’esistenza di orientamenti sessuali diversi dall’eterosessualità, non era ancora capitato loro di averci a che fare dal vivo. Il fatto che già conoscessero ed apprezzassero la mia compagna è stato sicuramente un punto a favore. Per me è stato un grosso sollievo, un po’ perché moralmente mi pesava omettere una parte così importante e bella della mia vita, un po’ perché siamo entrambe persone molto affettuose ed il nascondersi per abbracciarsi o scambiarsi un bacio, superati i quindici anni, è davvero ridicolo.
Per sapere come considerano la nostra famiglia, ti dico cosa ha scritto in un compito di spagnolo mio figlio: alla richiesta di descrivere la composizione della sua famiglia ha elencato una sorella, una mamma, una fidanzata della mamma, un papà, una fidanzata del papà.

E il mondo come reagisce al fatto che siate una coppia? Mi riferisco ai vostri parenti, colleghi, insegnanti dei figli

Con i parenti la parte più difficile è la pianificazione di pranzi e cene durante le festività: non sia mai che non si vada da quella zia o da quel cugino!
I primissimi tempi, quelli passati da coppia semi-nascosta, potevamo permetterci il lusso delle festività separate, adesso guai se io non vado dai suoi parenti o non viene lei dai miei. Non c’è niente da fare, siamo considerate una coppia e come tale tocca comportarsi, inclusi i buoni propositi, sempre disattesi, di dieta per smaltire l’eccesso di festività.
Con le colleghe sono stata inizialmente più timida di lei, ma principalmente perché non mi piace troppo parlare dei miei fatti personali sul lavoro. Le persone con cui parlo di più hanno saputo da subito della nostra storia, le altre l’hanno saputo col tempo.
Oramai non mi pongo proprio il problema, se la presento a qualche collega è come mia compagna e non mi risulta che ci sia chi abbia problemi. Addirittura un paio di estati fa è uscita su una rivista una intervista a noi due con tanto di foto, al ritorno dalle sue ferie una manager mi ha apostrofata tutta gioiosa in mezzo all’ufficio dicendomi di avermi vista e che era proprio contenta ed avevamo fatto bene.
Le insegnanti della scuola elementare hanno avuto reazioni diverse, da quella partecipe a quella impicciona che si preoccupava oltremodo del benessere di mia figlia fino a risultare fastidiosa. Problemi reali non ce ne sono stati comunque. Le insegnanti della scuola media frequentata dalla grande ed ora dal piccolo, sono sempre state molto neutre, la nostra composizione familiare non è mai sembrata interessare molto.
Professoresse e professori del liceo appena iniziato dalla grande non credo siano ancora stati messi al corrente, ma se conosco la mia piccola attivista, non passerà ancora molto tempo prima che vengano spiegate tutte le ramificazioni della nostra galassia familiare.
La nota dolente sono a volte compagne e compagni di classe, il tipico darsi del frocio come insulto abituale viene vissuto ovviamente come un affronto personale. Loro ci provano a fare controinformazione, ma purtroppo nessuna insegnante si è mai spinta più in la del non creare problemi.
Reali lezioni sull’inclusione dei diversi orientamenti sessuali non sono state fatte. Qualche frase qui e là ma mai niente di organico. Adesso si sente sempre più parlare di corsi da fare nelle scuole, tra chi li auspica come me e chi li bolla come obbrobri proposti dalla “lobby omosessualista”.
In realtà ci sono molte più polemiche che corsi, ma in fondo qualche anno fa non se ne parlava nemmeno quindi credo ci sia motivo di sperare in un continuo migliorare della situazione. Le uniche lezioni realmente inclusive sono state le due sulla sessualità, proposte da personale della ASL l’anno scorso in classe di mia figlia. Sono state lezioni volte a spiegare le malattie a trasmissione sessuale ed ovviamente la persona incaricata ha parlato dei rapporti sessuali, parlando sia dei rapporti tra persone di sesso diverso che dello stesso sesso.
Mia figlia che è estremamente pudica è rimasta un po’ imbarazzata dalla discussione, ma non ha perso l’occasione per dire che la sua mamma aveva la fidanzata. La signora che faceva le lezioni continuava a dirle “brava, brava!” e non ci è stato chiaro se fosse brava la figlia o la madre, alla fine della seconda lezione mi ha anche inviato i saluti, pure se non ci siamo mai viste.

La protesta silenziosa delle Sentinelle in piedi è alla ribalta delle cronache. Come l’avete spiegata ai ragazzi e come spiegate loro l’omofobia?

La spinta ad entrare a fare parte dell’attivismo LGBT  è stata proprio la necessità di far frequentare ai miei figli altre famiglie come la loro. Sono stata iscritta per molti anni all’Associazione Famiglie Arcobaleno (che riunisce principalmente coppie di omosessuali che hanno o desiderano avere figli insieme e che lottano per i riconoscimenti dei loro diritti genitoriali e di coppia) ma ho soprattutto iniziato a far parte fin dalla sua fondazione di Rete Genitori Rainbow che è una associazione che si propone invece come rete per tutte le persone come me: omosessuali, bisessuali e transessuali con figli da una precedente relazione eterosessuale, che sono poi ancora in Italia la stragrande maggioranza di persone omosessuali con figli.
I miei figli hanno quindi frequentato varie riunioni, feste, incontri, con genitori e figlie e figli, hanno vissuto le feste ma hanno anche partecipato a discorsi più seri. Sanno cosa è l’omofobia, da quella violenta che uccide le persone a quella che nasconde sotto una ipocrita patina di pacatezza la violenza ideologica delle sentinelle.
Abbiamo sempre parlato tanto degli avvenimenti nel mondo ed è quindi naturale includere gli avvenimenti nel mondo LGBT anche se spesso preferisco parlare delle belle notizie, a volte faccio vedere loro dei video (tipo questo) e mi prendono in giro tutte le volte che mi commuovo cioè sempre! Non esiste video di matrimonio, annuncio di nascita, discorso sui genitori che non mi faccia spuntare i lucciconi. Loro, oltre a prendermi in giro, nel loro piccolo sono attivisti in erba, parlano a scuola, con le amiche, gli amici. Mia figlia sta organizzando con alcuni compagni un giornalino scolastico, si è ovviamente proposta per la parte dei diritti civili. Un paio di volte mi hanno chiesto con un po’ di preoccupazione se io e la mia compagna avessimo subito aggressioni verbali o altri episodi negativi. Fortunatamente ho sempre potuto rispondere che a noi non è successo niente, spero continui così.

Nell’agenda del governo c’è il riconoscimento delle unioni civili. Immagino possiate dirvi soddisfatte

Immagini male: la sola idea delle unioni civili proposte fino ad ora mi offende profondamente. Se questo Stato mi considerava degna di un matrimonio quando ho sposato il mio ex marito e degna genitrice quando sono diventata madre, non posso tollerare di essere considerata niente di meno solo perché amo una donna, in un rapporto che è molto più sano e funzionale di qualsiasi relazione eterosessuale avuta in passato.
Discorso a parte per le amministrazioni locali che sempre più si stanno schierando a favore del riconoscimento delle unioni contratte all’estero. Sono riconoscimenti che non possono sostituire le leggi che il nostro parlamento da fin troppo tempo sta evitando di discutere, ma sono un chiaro segnale di quanto buona parte della cosiddetta “società civile” abbia compreso che le persone bisessuali, omosessuali e transessuali sono semplicemente persone come tutte le altre e, come tali, portatrici dei medesimi diritti e doveri del resto della popolazione. Sui doveri ci siamo da un pezzo, sono i diritti che ci sono ancora negati.