Oggi vivere in una famiglia monoreddito non è semplice, ma alcune donne scelgono di rimanere a casa dal lavoro per curare la crescita dei figli. A distanza di anni, non tutte vivono questa scelta con soddisfazione.

In un mondo in cui molti valori ruotano intorno ai soldi e al costo delle cose, il lavoro è qualcosa a cui tutti noi puntiamo perché realizza le nostre aspirazioni e ci dà un senso di utilità ed efficacia.

Questo accade perché il lavoro ci fa sentire in grado di fare cose, risolvere problemi, comunicare ad un livello adulto, e ci regala anche un senso di indipendenza.

Ci sono alcune madri che non posso scegliere e sono “costrette” a tornare a lavoro dopo la nascita del proprio figlio: queste donne riferiscono quasi sempre un senso di colpa per avere “abbandonato” i figli in questa fase della crescita.

In realtà anche alcune donne che hanno scelto di non tornare a lavoro riferiscono un disagio per la scelta fatta.

COSA ACCOMUNA QUESTE DONNE?

Qualcosa che le madri condividono è la lotta interiore tra il bisogno di riconoscimento, di realizzazione sociale e successo lavorativo, e il senso materno che porta a dedicare la maggior parte del proprio tempo alla cura dei piccoli.

In entrambi i casi, molte donne si sentono giudicate nella loro scelta, e questo dipende ancora dal modello socio-culturale in cui viviamo.

PARLARNE PER RIFLETTERE O CHIEDERE AIUTO

Partendo dal senso di frustrazione e di non riconoscimento percepito nel ruolo di madre non lavoratrice, insieme ad alcune donne madri che hanno scelto di rinunciare al lavoro abbiamo provato a condurre un gioco/esperimento.

Abbiamo provato ad immaginare come potrebbe essere una giornata lavorativa di persone che svolgono “per mestiere” quello del genitore.

Un professionista a tempo pieno che ha un orario di lavoro, un ruolo codificato, uno stipendio ed un datore di lavoro.

Sicuramente questo esperimento non può offrire un quadro completo, perché ipotizza che non ci siano di mezzo i sentimenti, il benessere dei bambini, e così via. Tuttavia offre un punto di vista.

Poniamo che un adulto assuma il suo ruolo con un orario da ufficio, tralasciando il fatto che in realtà è un lavoro a tempo pieno che si svolge h/24 inclusa la notte e il fine settimana!

I RISULTATI DEL WORKSHOP

E’ emerso che il modo di immaginare il valore monetario di questo lavoro potrebbe essere quello di paragonarlo a dei mestieri analoghi, tratti dalle professioni di cura in ambito infantile, come gli insegnanti, o le baby sitter.

Alcune di loro hanno anche pensato a quanti soldi sarebbero necessari a retribuire qualcuno che si occupi dei bambini mentre loro sono in ufficio.

Al momento di stabilire una cifra che possa realmente affrancare il lavoro di genitore, non si è giunti però a nessuna somma: questa ipotetica professione forniva un servizio così unico e importante perché insostituibile.

Abbiamo così messo nero su bianco su una lavagna la frase che un genitore è insostituibile. I bambini hanno solo UN padre, UNA madre, mentre un’azienda può sostituire un dipendente con qualsiasi altra persona in grado di svolgere le stesse mansioni.

L’esperimento, difficile da descrivere nella sua interezza, è stato abbastanza complesso ma ha fatto riflettere molto.

Il suo intento era certamente quello lavorare sul senso di auto-efficacia, fondamentale per il benessere personale e per influenzare le scelte, la percezione della fatica, la perseveranza, la vulnerabilità allo stress. Sarebbe stato molto interessante condurlo in presenza dei coniugi/compagni.

Ha posto la questione di come ridefinirsi quando si sceglie di rimanere a casa, in un mondo che ha attraversato l’emancipazione femminile e la questione lavorativa.

Marcella Agnone – Psicologa Psicoterapeuta