Sono circa 120 le aziende americane baby friendly, che consentono ai loro dipendenti di portare i figli al lavoro. Si tratta di bambini che generalmente hanno tra i 2 e gli 8 mesi, ma vi sono aziende dove sono ammessi anche bambini più piccoli o più grandi.

Non è un caso che la pratica si stia diffondendo proprio negli Stati Uniti: insieme all’Australia, l’America sarebbe – secondo uno studio svolto  dall’Università di Harvard in 168 paesi – l’unica nazione industriale che non prevede congedi di maternità pagati.
Solo recentemente, in seguito al Family and Medical Leave Act, varato dall’amministrazione Clinton, le aziende sono state obbligate a riconoscere ai loro dipendenti 3 mesi di congedo non retribuito; prima chi si assentava rischiava di essere licenziato. L’Australia invece, pur non concedendo congedo retribuito come gli Stati Uniti, consente di assentarsi dal lavoro per un anno salvaguardando il posto.

Ecco che allora si sono rese necessarie soluzioni alternative: una di queste è portare con sè i figli al lavoro.

Certo non deve essere facile lavorare tutto il giorno nello stesso ambiente con il figlio neonato. O meglio, è più semplice se qualcuno può dedicarsi al figlio mentre la mamma lavora. E’ il caso delle due figlie di Joyce DeLucca, a capo di una compagnia finanziaria di New York. La mamma, che dichiara di lavorare 12 ore al giorno, porta con sè al lavoro le figlie di 3 anni e mezzo e 8 mesi, da quando sono nate, ma le fa accudire un ufficio attiguo al suo dalla baby sitter.

Diverso è il caso di chi lavora e contemporaneamente accudisce il figlio, magari con l’aiuto occasionale di un collega. Dato che il calo di produttività è conclamato, una ditta di comunicazioni di Indianapolis ha ridotto del 20% lo stipendio delle mamme con bambino al seguito.

Un vantaggio è sicuramente il fatto di poter allattare al seno anche in orario di lavoro, senza ricorrere al tiralatte, favorendo l’attaccamento del bambino, se ancora molto piccolo, alla mamma. Inoltre, si ha la sensazione di avere il piccolo più sotto controllo, e si placa così l’ansia che spesso viene quando si affida un neonato ad altri. Per non parlare poi del tornaconto economico, dato che si percepisce lo stipendio e contemporaneamente si risparmia sulla baby sitter.

Il rischio maggiore è forse quello di avere la sensazione di fare male sia la mamma, che il proprio lavoro. Ci sono inoltre attività che non consentono la presenza di un neonato a fianco della mamma: basta pensare agli insegnanti, ai medici o agli avvocati. Spesso infine può succedere che i colleghi tollerino a fatica i pianti e il “disturbo” arrecato dai piccoli.

Jacqueline Grace, presidente di un’azienda editoriale di New York, è convinta tuttavia del fatto che la presenza di un bambino sul posto di lavoro ravvivi e rallegri l’atmosfera, facendo sorridere le persone più spesso. Sua figlia, ora di 5 anni, la segue in ufficio da quando aveva 2 mesi, tutto il giorno. Anche l’autostima e lo sviluppo della bambina ne hanno tratto beneficio, a suo avviso.

E voi cosa ne dite? Andare in ufficio con mamma o papà fa bene o fa male al piccolo, ai genitori, ai colleghi e al datore di lavoro?