Nei precedenti articoli abbiamo descritto il parto non solo come un evento significativo per la crescita della donna, ma anche come evento potenzialmente stressante perché convoglia molte paure oggettive e vissuti ansiosi.Sappiamo che quel che fa la differenza, davanti ad un momento di stress o di ansia, è il modo in cui la affrontiamo, e la capacità che lo stress ha di attivare in noi delle risorse che producono un cambiamento ed un adattamento alla nuova situazione.

Un vissuto comune sia nella depressione che nelle sindromi post-parto è la sensazione di non essere (o non essere stati) all’altezza della situazione.
Questo sentimento non è limitato ad un ambito specifico, ma in breve tempo invade tutta la vita della persona, portandola a considerarsi un fallimento in molti aspetti, se non tutti, della propria vita.

Il dolore, in molte esperienze, diventa pervasivo e cieco. Nel caso di una neo-mamma, la difficoltà ulteriore è dovuta al fatto che questi vissuti influiscono notevolmente anche sulla relazione col neonato.

In alcuni casi il dolore è così intenso da spingere la donna ad allontanare il pensiero ed il ricordo dalla propria coscienza, e questo spiega anche il motivo di un comportamento distaccato nei confronti del bambino o del partner.

Il supporto a queste persone consiste nel fornire loro la possibilità di rielaborare l’esperienza cercando di ricollegarle alla loro storia personale, che a causa del dolore loro tendono a frammentare e allontanare dalla consapevolezza.

Questo “distanziamento” è agevolato da quegli aspetti culturali che portano a connotare positivamente la nascita di un figlio, valorizzando solo le emozioni positive, ma rendendo più facile così la creazione di una frattura, di un divario che impedisce di mettere parole agli elementi spiacevoli.

Il raccontare, in primo luogo a se stessi, e quindi anche ad altri, ha invece in questi casi un valore importantissimo, che permette di “digerire”, letteralmente, un’esperienza attraverso la sua “ruminazione”.

Nei casi più semplici basta la disponibilità di un’amica, o di un familiare.
Nei casi più gravi, invece, perché la donna possa aprirsi al racconto e ri-esporsi ai ricordi dolorosi, è necessario parecchio tempo, ed una relazione fortemente terapeutica in cui si possa prendere contatto con le emozioni in un contesto sicuro e protetto.

dott.ssa Marcella Agnone – Psicologa Psicoterapeuta

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