Il tema della scelta è un tema ricorrente negli articoli che abbiamo trattato riguardo alla genitorialità.
Con questo abbiamo voluto sottolineare l’importanza del cambiamento che una scelta porta nella propria vita, anche quando questo non è preventivato in tutta la sua portata, o viene fatto senza difficoltà e ripensamenti.

Non tutti hanno le idee chiare riguardo a questo tema, e tanti sono gli elementi che entrano in gioco quando due partner arrivano al momento di dover prendere una decisione in questo senso, o semplicemente arrivano al momento di parlarne.

Negli anni ’70, epoca in cui la genitorialità per una coppia era una tappa ovvia, scontata e senza alternative, chi non poteva avere figli veniva denigrato con l’etichetta di childless, termine ad accezione decisamente negativa ma consona ad un periodo in cui la famiglia era fondata sul matrimonio e sul gran numero dei figli.

Negli anni, e col mutare del contesto sociale, questi valori hanno lasciato il posto ad altre forme di esistenza e di famiglia, ed il termine ha perso questa connotazione, fino ad assumere oggi l’emblema di un “movimento” che ingloba persone che per diverse motivazioni e ragioni personali si fanno audaci sostenitori della scelta di non avere figli.

C’ è una sottile differenza che separa le persone che non possono avere figli dalle persone che scelgono di non averne: come sostiene la psicologa Mariselda Tessarolo, coloro che non possono avere figli vivono la condizione (e l’attraversamento) del rimpianto, e tutte le elaborazioni di questo vissuto che possono -o meno- essere pienamente integrate nello sviluppo della propria personalità.

Coloro che scelgono di non avere figli, invece, rivendicando questa come una scelta di libertà, si distinguono per il fatto che il non avere figli diventa un tratto distintivo, elitario, motivo di orgoglio e di affiliazione.

Per quanto il fatto sia da essi stessi taciuto, o negato, diventa frequente che queste persone si rivolgano a percorsi di sostegno psicologico o terapeutico: soprattutto nel contesto italiano, ancora così tradizionalista e colpevolizzante, parenti e amici vessano queste persone in una condizione di colpa.

D’altro canto, attraverso ricerche, convegni, e raccolte di dati, gli psicoterapeuti hanno oggi tracciato il profilo di personalità di queste persone che, pur restando fermamente convinti nelle loro posizioni, si rivolgono sempre più frequentemente agli addetti ai mestieri di cura.

Se volete un’esaustiva ma sintetica indagine sul profilo dei childless, potete leggere l’articolo di Claudio Risé, scrittore, giornalista, docente di psicologia dell’educazione, e autore del libro “La crisi del dono: la nascita ed il no alla vita“.

Se invece vi state chiedendo perché stiamo indicando che dei childfree sia stato tracciato un profilo, e che alcuni di essi frequentino gli studi di psicoterapia, vogliamo subito smentire che si tratti di una condizione psicopatologica, facendo tra l’altro di tutta l’erba un fascio: siamo certi che ogni individuo è unico, e che non tutti i childfree sono uguali.

Ma per correttezza vogliamo garantire, a tranquillizzare gli animi risentiti, che di altro genere di persone, famiglie comprese, gli studi di terapia non sono vuoti. E’ questo il bello dell’unicità degli individui.

Il tema proseguirà nei prossimi articoli.

dott.ssa Marcella Agnone – Psicologa Psicoterapeuta

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