Inizia nel lontano 1974, con la riforma del diritto di famiglia sul divorzio, il lento percorso di legittimazione di una tipologia di famiglia diversa da quella tradizionale.

Separazione, convivenza, coniugio e divorzio sono alcune tra le modalità in cui si manifesta la vicenda affettivo-familiare.

In particolare, convivere senza celebrare il matrimonio, corrisponde alla cosiddetta convivenza more uxorio, ovvero “secondo il costume matrimoniale” che si contraddistingue per il carattere di stabilità, libera espressione della scelta dei singoli.

Se da un lato la Corte di Cassazione prende da tempo in considerazione il carattere di stabilità della coppia convivente, dall’altro la politica, limitata dalle discordanze di partito come è avvenuto per l’approvazione della Legge Cirinnà, spesso non riesce a trovare una soluzione unanime, arrestandosi.

I passi già compiuti, anche prima dell’introduzione della Legge, erano molti: dall’accesso alla procreazione medicalmente assistita, al diritto ad avere notizie sulla salute del partner sino a quello di succedere nel contratto di locazione o a chiedere il risarcimento del danno, in caso di decesso.

Coppie di fatto: i benefici previsti dalla Legge Cirinnà

Oggi, la figura dei «conviventi di fatto» è espressamente definita dalla Legge che intende come tali “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile”.

Requisito essenziale per essere riconosciuta come coppia di fatto e beneficiare dei diritti previsti dalla Legge Cirinnà è la “stabile convivenza” della coppia per la quale fa fede la dichiarazione anagrafica attinente lo stato di famiglia.

La legge non introduce grandi novità rispetto ai diritti precedentemente riconosciuti, i quali vengono ritrascritti. Merito della Legge è, invece, prevedere una legittimazione della convivenza, attribuendole  una forma giuridica e così segnando un passo in avanti nella cultura “affettiva”, se così si può definire, del popolo italiano. I conviventi di fatto, ad esempio, vengono espressamente equiparati ad un nucleo familiare anche con riferimento alle graduatorie per l’assegnazione di alloggi di edilizia popolare.

Contratto di convivenza: come contrarlo e come risolverlo

Il legislatore ha, inoltre, attribuito ai conviventi la facoltà di regolare i propri rapporti patrimoniali mediante un “contratto di convivenza” che dev’essere redatto in forma scritta, con atto pubblico o scrittura privata autenticata da un notaio o da un avvocato che ne attestino la conformità alle norme imperative ed all’ordine pubblico.

Successivamente, ai fini dell’opponibilità ai terzi, i professionisti che l’hanno redatto entro i successivi dieci giorni devono trasmetterne copia al comune di residenza dei conviventi per la registrazione in anagrafe.

La risoluzione di tale contratto potrà invece avvenire per:

  • a) accordo delle parti;
  • b)recesso unilaterale;
  • c) matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed un’altra persona;
  • d) morte di uno dei contraenti.

Anche la cessazione del vincolo dovrà essere registrato all’anagrafe da parte dell’avvocato (o notaio) incaricato.

Figli nati da coppia convivente

Per quanto riguarda i figli, se nati da una coppia convivente (naturali) godono degli stessi diritti dei figli nati durante il matrimonio (legittimi). E’ il D.lgs154/2013 che ha equiparato integralmente le due categorie, anche per quanto riguarda le questioni ereditarie o i rapporti con i nonni e gli altri parenti. Di conseguenza, i genitori soggiacciono all’obbligo di educare, istruire e mantenere i propri figli, indipendentemente dal tipo di unione che li lega.

E’, tuttavia, estremamente importante che il padre li riconosca: solo così è possibile avanzare pretese in caso di controversie. In particolare, in caso di non riconoscimento da parte del padre, solo la madre ha dei doveri nei confronti del figlio che si troverebbe menomato del diritto alle visite del padre o al mantenimento da parte dello stesso.

Una volta riconosciuti, la potestà genitoriale su di essi verrà esercitata dal genitore o dai genitori in convivenza. Significa che, anche quando è stato riconosciuto da entrambi, se il figlio convive solo con la madre, la potestà potrà essere esercitata solo da lei. La potestà è poi esercitata dal genitore che lo ha riconosciuto per primo, se nessuno dei due genitori convive con il figlio. Nell’ipotesi in cui la coppia si sciolga, l’affidamento viene stabilito dal Tribunale per i Minori, che potrà stabilire anche un assegno di mantenimento nell’interesse del figlio.

Adempimenti obbligatori per gli uffici anagrafici

All’alba della nuova legge, di cui siamo in attesa di vedere le prime applicazioni, potremo finalmente esprimere qualche considerazione in più. Ad oggi, qualche primo passo è stato fatto: il Ministero dell’Interno ha inviato ai servizi demografici la Circolare n.7/2016 indicando gli adempimenti ai quali sono ora tenuti gli uffici anagrafici:

  • Iscrivere le convivenze di fatto;
  • Registrare l’eventuale contratto di convivenza;
  • Rilasciare le relative certificazioni.

Articolo a cura dell’Avvocato Laura Citroni, autrice anche di un e-book su unioni civili e convivenze di fatto.  Nel corso della sua carriera professionale, ha collaborato con primari studi legali. Ha svolto e svolge tuttora attività di assistenza a privati, società e gruppi societari sia in ambito stragiudiziale (consulenza, pareristica, contratti) che in tutte le fasi del contenzioso civile, ivi comprese le esecuzioni, le procedure concorsuali ed il recupero crediti. E’ autrice di numerosi articoli. Attualmente collabora con diverse riviste ed è attiva su numerosi blog (tra cui quello dello Studio www.slcx.it/blog) per i quali pubblica  articoli a carattere giuridico. Il suo e-book “Questioni di Famiglia” é in vendita on-line, anche in versione cartacea.