All’inizio di novembre la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha emesso una sentenza che in Italia ha scatenato un pandemonio: esporre il crocifisso nelle classi della scuola pubblica è contrario al diritto di educare i figli secondo le proprie concezioni religiose. La questione è spinosa e piuttosto delicata. Il Vaticano ha naturalmente condannato la decisione della corte europea. Ma anche a livello politico molte sono state le perplessità espresse, da parte di tutti gli schieramenti. Al comune di Ardea (Roma) e di Sassuolo (Modena) i rispettivi sindaci si sono precipitati a comprare crocifissi da donare a tutte le scuole; Gioventù italiana di Napoli si è premurata di manifestare in segno di protesta con striscioni dagli slogan irripetibili; a Scarlino (Grosseto)  e nel padovano sono state emesse ordinanze che impongono 500 euro di multa a chiunque si azzardi a togliere il crocifisso dalle aule.

Tuttavia, da un’indagine Panel Data per il Corriere del Veneto, regione che più delle altre è insorta contro la sentenza, è emerso che un giovane su tre eliminerebbe il crocifisso, e che chi è favorevole a conservarlo adduce ragioni legate alla cultura e alla tradizione, più che alla fede.

Io, pur essendo cristiana e praticante, anche se non più cattolica, sono fortemente convinta dell’importanza di garantire nelle scuole statali un’istruzione laica. E trovo che il crocifisso in classe possa essere un elemento che stride con il presupposto di laicità; capisco che possa disturbare bambini e soprattutto famiglie appartenenti a confessioni religiose diverse dalla mia o non credenti.

Inoltre, non amo affatto l’immagine di Gesù sofferente sulla croce; preferisco vedere e immaginare un Gesù vivo e radioso, piuttosto che piegato dal dolore. La semplice croce, come simbolo dell’albero della vita, con l’asse verticale che unisce la terra al cielo e l’asse orizzontale che simboleggia la scala per salire al cielo, potrebbe essere un simbolo più universale, che unisce la dimensione terrena e umana a quella ultraterrena e spirituale, senza evocare dolore e sofferenza.

Nell’immagine qui sopra vedete il crocifisso di Matara, in Sri Lanka; nel 2004 un’onda provocata dallo tsunami che ha fatto centinaia di migliaia di vittime nell’Oceano Indiano ha invaso la chiesa della Nostra Signora di Matara – santuario nazionale – durante la messa, strappando il corpo del Cristo dalla croce e uccidendo 24 persone all’interno della chiesa stessa. La croce è stata lasciata volutamente inalterata perché diventasse un monumento commemorativo.

Se fosse per me toglierei Cristo da tutte le croci, così come ha fatto lo tsunami a Matara, senza però lasciare neanche le braccia, auspicando che il messaggio forte del Cristianesimo torni ad essere quello di amore e di accoglienza, piuttosto che di sofferenza e dolore, senso di colpa e necessità di espiazione. E lascerei invece intatte le croci, come simbolo di unione tra due diverse dimensioni, e di un abbraccio che va al di là delle differenze religiose, nazionali o razziali.

Immagino che alcuni di voi siano abbastanza d’accordo con me, e che altri non lo siano affatto. Rispondete al nostro Sondaggio e scrivete qui di seguito nei Commenti la vostra opinione, se vi va. Mi piacerebbe che emergessero altri spunti di riflessione.

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Immagine: unicatt.it