Arianna ha 16 anni e un amore: la pallavolo, uno sport che pratica da quando ne aveva sei. Praticamente la passione di una vita. Che adesso deve abbandonare: il tesseramento, firmato quando aveva 14 anni, la obbliga a rimanere per i prossimi otto in una Società a cui non sente più di appartenere.

Il fenomeno del tesseramento dei minori

Lo sfogo dei genitori di Arianna, postato in un magazine dedicato alla pallavolo è rimbalzato di bacheca in bacheca sui social arrivando a 2mila like in poche ore e dando luogo a discussioni, manifestazioni di solidarietà e polemiche.  Non credo sia un caso se, qualche giorno dopo, La Repubblica ha dedicato al fenomeno del tesseramento dei minori un’inchiesta più approfondita.

Una tema a me poco noto ma che non mi ha lasciato indifferente: da mamma di ex ginnasta agonista ricordo bene come gli interessi, le rivalità e gli equilibrismi del mondo adulto potessero avvelenare lo spirito della competizione sportiva sino a eludere la ragione stessa dello sport. D’altro canto, non posso ignorare come Società e Sodalizi abbiano propri interessi economici da tutelare. Ho quindi voluto saperne di più della storia di Arianna intervistando Elisabetta, sua madre.

–    Elisabetta, cominciamo dalla fine: come sta Arianna?

–    Sta cercando un suo equilibrio: per dieci anni la pallavolo è stata al centro del suo mondo, si è allenata assiduamente per più ore al giorno, anche facendo delle rinunce pur di non saltare gli allenamenti.  Questo non le è mai pesato, anzi: Arianna ha sempre messo la pallavolo davanti a tutto. Solo la scuola ha goduto della stessa attenzione.

–    Mi racconti cos’è successo?

–    Mia figlia inizialmente si trovava bene nella società che l’ha tesserata. Soprattutto si era creato un bel gruppo affiatato di ragazze che condividevano la stessa passione. Arianna dal punto di vista della sua crescita tecnica  deve molto a questo sodalizio, insieme si sono tolte parecchie soddisfazioni, ma non altrettanto può dire sotto il profilo umano. Ogni occasione era buona per essere mortificata, raramente per essere incoraggiata. La situazione è precipitata quando in un periodo particolare della nostra vita familiare noi genitori ci siamo imposti per portarla in vacanza. Arianna allora aveva appena quattordici anni  e ha subito molto le scelte con le quali l’allenatore ha deciso di punirla per la sua assenza.

–    Be’, ma è fisiologico che si pretenda il massimo dalle atlete più promettenti.

–    Fino a un certo punto. Arianna è passata in breve tempo dall’essere un’atleta tra le tante ad elemento portante della squadra con aspettative tali per cui veniva perdonato ai suoi allenatori ogni atteggiamento anche esagerato nei suoi confronti. Nel rapporto con l’allenatore si era innescato un meccanismo perverso per il quale il primo faceva valere il proprio scontento in maniera pesante e lei ne era psicologicamente schiacciata. Come genitori ci siamo più volte confrontati con la Società esprimendo le nostre perplessità sui metodi e ricercando il buon senso, ma senza ottenere risultati e Arianna stava sempre peggio. Nel frattempo la squadra era riuscita ad ottenere un buon piazzamento alle finali nazionali della loro categoria,  un obiettivo molto importante.

–    Che però non è stato sufficiente per convincere Arianna a continuare.

–    Per un’altra stagione si è voluta ancora fidare di tutti i buoni propositi che le erano stati prospettati, ma per l’ennesima volta le aspettative sono state assolutamente deluse ed Arianna, dopo essere stata scelta a far parte, la scorsa estate, della rappresentativa regionale, ad agosto ha manifestato a noi genitori l’intenzione di voler fare un’esperienza diversa, in un’altra società. E’ stata una decisione molto sofferta, le ragazze della squadra erano cresciute assieme. Ma mia figlia non ce la faceva più ad allenarsi in questo clima di tensione e noi genitori non potevamo più ignorare la sua frustrazione. Il rapporto di reciproca fiducia e rispetto tra noi e il sodalizio erano venuti meno.  A quel punto siamo andati a parlare con i dirigenti della Società per riuscire a trovare un accordo.  Noi abbiamo sempre e regolarmente pagato la quota annuale ma, a fronte di un’equa richiesta da parte del Sodalizio, non ci saremmo tirati indietro nel caso in cui ci avessero chiesto di pagare un indennizzo. La Società però non ci ha mai risposto e solamente quando si è fatta avanti una Società concorrente si sono degnati di dettare le loro condizioni: o un prestito, ma solo fuori regione, o lo svincolo definitivo per la modica cifra di 15.000 euro!!!

–     Una cifra enorme! L’avete pagata?

–    No, abbiamo portato la questione davanti al tribunale sportivo.  La Commissione Tesseramento Atleti ha accolto la nostra richiesta di scioglimento coattivo del vincolo per giusta causa, in quanto il Sodalizio a cui Arianna appartiene non solo aveva rinunciato al campionato di serie B1, squadra della quale Arianna non ha mai fatto parte, ma aveva anche ceduto il titolo di serie D, campionato invece al quale nostra figlia aveva partecipato. In cambio di un indennizzo di 4.000 euro, che abbiamo immediatamente pagato, Arianna avrebbe potuto così disputare un campionato di serie nazionale con altro sodalizio, oltre ai rispettivi campionati di categoria. E lo ha fatto per due mesi…

–    Ma poi...

–    La sentenza è stata ribaltata dalla Commissione d’Appello Federale che ha accolto l’appello del Sodalizio ripristinando il vincolo. La Corte Federale ha ribadito la decisione rigettando il nostro ricorso.

–    Sono profana. Cosa significa?

–    Che  Arianna è vincolata per i prossimi 8 anni a un Sodalizio a cui non sente più di appartenere e di fatto  dovrà abbandonare la pallavolo. Il tesseramento, firmato quando aveva 14 anni, la vincola sino ai 24, a meno che non si paghi la cifra enorme che ci è stata richiesta.

–    Ho letto i commenti alla vostra lettera. Vi viene fatto presente che sia la C.A.F che la Corte federale hanno applicato la normativa del Regolamento affiliazioni e tesseramento (R.A.T)

–    La sentenza è ambigua. Per le atlete, come Arianna, che hanno fatto parte della rappresentativa regionale,  il Regolamento prevede la possibilità d svincolo solamente a determinate condizioni. Nel nostro caso, non solo  il Sodalizio aveva rinunciato al titolo di B1 (e non ceduto come dice la sentenza…..tanto è vero che per questa rinuncia il Sodalizio era anche stato sanzionato), ma aveva pure ceduto il titolo di serie D ( e di ciò non è stato fatto cenno in entrambe le sentenze,  del CAF e della Corte Federale). Diciamo che si è giocato con le parole. Ma non è questo il punto.

–    Qual è allora?

–     Il punto è che il Regolamento Affiliazioni e Tesseramento contiene norme –capestro  che  tutelano esclusivamente gli interessi delle società ignorando quelli degli atleti, incatenati loro malgrado a sodalizi con i quali sono venuti meno i presupposti di fiducia e rispetto reciproci. Ricordiamo che stiamo parlando di minorenni che si ritrovano vincolati sino all’età adulta grazie a una normativa che in altre discipline sportive e all’Estero è già stata abbandonata. O si pagano cifre arbitrariamente decise dai sodalizi per lo svincolo, o si rinuncia alla disciplina della quale ci si era innamorati.

–    E adesso?

–    E adesso, si continua la lotta. Non contro il sodalizio: contro una normativa, che di sportivo ha ben poco