Da piccola avevo la fortuna di avere un grande giardino: io e mia sorella abbiamo passato tante ore all’aperto, d’estate e d’inverno, a sporcarci di terra, giocare con i vermi, aiutare nonno nell’orto, costruire case sugli alberi.

In quegli anni abbiamo sviluppato la passione per gli animali del cortile: il merlo che canta e saltella qua e là con il suo becco arancione, le formiche che costruiscono la propria casa, le cicale che cantano di notte, la gazza ladra che si aggira furtiva tra le mollette cadute dal balcone, e persino le lucciole, che ‘ai miei tempi‘ affollavano ancora i cortili nelle notti d’estate.
Noi giocavamo fino a tardi, con le luci tenui dei lampioncini, mentre i grandi mangiavano angurie dolci e rosse sotto l’ulivo, in cortile, e insieme ammiravamo lo spettacolo magico di queste lucciole che richiedono silenzio e contemplazione.
Poi è arrivato Giorgino, la mia cocorita.

Un maschio di cocorita azzurro cenere, socievole e gentile, pigro e casalingo. Freddoloso, tanto che mia mamma non poteva tenerlo sul balcone, ma teneva la sua gabbietta in casa.
Giorgino era così fedele e affezionato a me, che la gabbietta era del tutto superflua: entrava e usciva a piacimento, quando io tornavo dall’asilo, e nei giorni d’inverno si accoccolava dentro una scatola posta sotto il termosifone e riempita di ovatta. Se avesse potuto, avrebbe indossato tranquillamente sciarpa e cappello: ne avrebbe avuto il vezzo e il portamento necessari. Era spassoso.

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Io e Giorgino eravamo ‘pappa e ciccia’: dove io andavo, lui saltellava dietro di me. Passettini passettini, mi seguiva con un imprinting degno delle oche di Lorenz, mangiava dalle mie mani, se stavo seduta si accoccolava in mezzo alle mie ciabatte ‘pelose’.
E’ stato importante per me. Mi ha dato un affetto vero, un’amicizia sincera e presente, qualcosa che va oltre ogni legame tra esseri umani: un amore incondizionato e sempre attento – cosa che può sembrare sciocca, ma a quel tempo non lo era affatto.
Io gli davo da mangiare tenere foglie di lattuga pulita, mele, finocchi, semi di miglio, e grandi ossi di seppia, che lui rosicchiava distrattamente, quando e come gradiva. Preferiva di gran lunga assaggiare le briciole delle mie brioscine, quando le lasciavo ‘distrattamente’ cadere a terra.

Giorgino è stato importante perché da lui ho capito l’importanza dell’accudimento: un animale domestico, qualunque esso sia, richiede attenzione e cura continui, anche quando non ne hai voglia, anche quando hai la febbre o vuoi andare a giocare con i tuoi amici.
Richiede adattamento, attenzione, pianificazione, e questo si coltiva sin da piccoli.
E richiede anche pazienza e dedizione.
Ti insegna a gestire il dolore, quando il tuo animale se ne va – Giorgino è morto di vecchiaia – e tu devi gestire il lutto di un essere vivente che non era un essere umano, ma aveva molto di umano.

Mi è mancato molto, negli anni, ma la tristezza si è trasformata in tenerezza.
E forse adesso è arrivato il momento di passare dall’altra parte, e regalare a mia figlia la stessa esperienza.

 

Guest blogger: Barbara  Mamma Felice per Blogmamma.it

Purina a scuola di petcare