La genitorialità è un’esperienza complessa e molto variegata. Ognuno di noi ha il suo modo di viverla, e nelle differenze individuali si declina un’esperienza importante ed unica.

Oggi che la ricerca della propria unicità sembra essere un fine riconosciuto ed importante, quella sicurezza legata all’appartenenza protettiva e rassicurante viene un po’ meno. Anche se non per tutti è così, siamo oggi genitori un po’ più soli, talvolta un po’ smarriti e confusi.

Confrontarsi con emozioni che non sono sempre riconosciute o riconoscibili è un’esperienza che caratterizza molte gravidanze, anche le più serene: è il nuovo che si profila all’orizzonte e che caratterizza il cambiamento.

Questo pone la donna in una condizione di particolare sensibilità emotiva, legata principalmente ai dubbi relativi proprio a quel cambiamento che si sconosce e si impone come inevitabile. Se da una parte, infatti, c’è il desiderio che spinge verso la novità, dall’altro c’è il timore della stessa.

Lavorando con le donne in gravidanza o più in generale con le mamme, l’esperienza che mi è capitata è stata quella di incontrare, se pur “sottovoce“, i temi della fatica, del timore di essere inadeguata, della rabbia o del senso di colpa.

La gravidanza si tesse di due risvolti, qualcosa di dicibile e qualcosa di indicibile: ben lontana dall’essere solo un periodo roseo che tutti circoscrivono dentro ai luoghi comuni dell’amore materno e coniugale (come se l’amore per il figlio o il marito, certamente presenti o importanti, potessero annullare i vissuti sopra citati).

Certamente questi presupposti sono dei punti di forza molto importanti, ma il senso di inadeguatezza, così comune ma con cui è difficile convivere, è una tappa che tocca tutte le esperienze di maternità, a cominciare proprio dalla gravidanza.

Il comune denominatore si può sintetizzare in un paio di domande, che ciascuna donna si pone anche implicitamente.
La prima è: “ce la farò”?
La seconda è: “sono normale quando penso di non farcela?”

La difficoltà principale, come più volte osservato, è che i corsi di preparazione al parto, o successivi, si occupano principalmente di indottrinare la neomamma su aspetti pratici dell’accudimento, e poco invece si preoccupano dei vissuti personali o dei percorsi di crescita interiore.

Ogni donna, davanti ad una trasformazione importante che coinvolgerà la sua personalità e la sua intera vita, si chiede come sarà e quali saranno gli esiti. Questa domanda, spesso implicita, è l’appello più importante che viene fatto ad un terapeuta, in questo momento del ciclo di vita.

Ovviamente non esiste una risposta unica per tutti: la fiducia nelle proprie possibilità e la scoperta delle proprie risorse è un percorso unico per ogni individuo.

Si dice spesso che quando nasce un bambino nasce anche una madre, ciò significa che una neo-mamma necessita di sostegno e cure esattamente come il suo primogenito. E spesso i suoi bisogni non sono solo legati al fare, ma principalmente al sentire e allo stare-con.

Com’è normale che un bimbo appena nato abbia bisogno di imparare molte cose, di sintonizzarsi con il mondo circostante, così anche la mamma ha le stesse necessità: adeguarsi al nuovo modo di essere e imparare un nuovo modo di stare al mondo.

E’ evolutivo, ovvero normale, che ciò avvenga spontaneamente, e che la vita stessa provveda a fornire la spinta a questo adattamento.
Ciononostante, un atteggiamento sempre meno empatico con le tappe del ciclo di vita, e la propensione a discostarsi dall’ascolto di noi stessi e del nostro essere nel mondo, hanno fatto sì che frequentemente il vissuto della donna (e spesso anche della coppia di neo-genitori) sia di isolamento, inadeguatezza e solitudine.

Da qui l’incremento del disagio post-partum (e con varie sfumature si prolunga nel tempo), delle depressioni, nei casi più macroscopici, ma anche di tutta una serie di dinamiche che si creano nella relazione col figlio, ed i cui effetti si avvertono più in là, fino all’insorgere di problemi successivi, in altri momenti, in altre fasi della crescita, proprio nelle relazioni familiari.

Incoraggiare una donna all’ascolto dei propri stati d’animo è il presupposto fondamentale di qualsiasi percorso di sostegno alla maternità: e si sottolinea che tali percorsi sono ben lontani dagli aspetti patologici di questa esperienza (il cui trattamento è affidato a strutture sanitarie adeguate). Per dirla in parole povere, non necessita di sostegno psicologico solo una persona che è “strana” o “malata”.

Il sostegno in gravidanza (o il sostegno psicologico in generale), come più volte accennato, riguarda una relazione d’aiuto che lavora sulla risoluzione di uno (o più) bisogni di una persona.

Lo vedremo più dettagliatamente nel prossimo articolo.

dott.ssa Marcella Agnone – Psicologa Psicoterapeuta

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