(…. )Ettore tese le braccia a suo figlio, ma il bambino piegò la testa piangendo nel seno della nutrice, terrorizzato dalla vista del padre; lo spaventava il bronzo e il cimiero coi crini di cavallo che vedeva oscillare terribilmente in cima all’elmo. Sorrisero allora il padre e la nobile madre, e subito lo splendido Ettore si tolse l’elmo e lo depose, rilucente, sopra la terra; baciò suo figlio e lo palleggiò tra le braccia, (….)

Ho finalmente capito perché quando si parla di Papà, si parla spesso del “gesto di Ettore”.

Nell’Iliade, Ettore – prima di andare a morire in combattimento – saluta il suo piccolo e la moglie. La sua armatura spaventa il piccolo che alla sua vista si ritrae. Allora Ettore si toglie l’elmo, prende il bambino e lo solleva verso il cielo indirizzando una preghiera a Zeus.
Il gesto di Ettore è questo.

Ma questa scena è stupenda per un altro motivo.
Il guerriero Ettore, comprende il turbamento del piccolo, si toglie l’elmo, ponendolo a terra ed abbraccia finalmente il figlio. Padre splendido.
Forse è proprio questa attenzione, questo garbo, questo cauto avvicinamento che rende struggente la scena del guerriero che si spoglia delle proprie armi per poter essere padre dimostrando di possedere la sensibilità ed i sentimenti di un attento genitore anche mentre sta andando in battaglia.

Ettore in questa scena rappresenta ogni papà che cerca il contatto affettivo e fisico col proprio figlio.
Le mani ruvide, la voce forte, il petto villoso, il viso con la barba, sono le cose che fanno istintivamente ritrarre i nostri piccoli quando noi papà ci avviciniamo. Ogni papà deve quindi idealmente “togliersi l’elmo” ogni volta che avvicina il suo cucciolo. Deve trovare carezze lievi, addolcire la voce, consolare il piccolo che cerca il capezzolo e trova invece un ciuffetto di peli e fare attenzione a non irritare con le guance barbute la pelle delicata del bimbo.

E’ probabilmente questo sforzo di delicatezza che fa risultare particolarmente dolce ogni papà che si sbaciucchi suo figlio.

Ettore, inoltre, rappresenta anche tutti i papà che si ritrovano l’arduo compito di presentare il mondo ai loro bambini, in quanto rappresentano – ai loro occhi – la prima cosa che “non è la mamma” . E lo fa nel modo più completo che si possa immaginare, raccontando in un’immagine, la guerra e l’amore, la vicinanza e l’addio,  la ruvidità delle armi ed il loro sfavillante orgoglio, la forza delle braccia e la tenerezza dell’abbraccio paterno.

Ricordo un futuro papà che -ad un recente incontro – mi parlò del suo timore di non riuscire ad essere sufficientemente delicato con suo bimbo, avendo lui mani enormi, braccia muscolosissime e poca pratica.

Gli risposi che quelle manone e quelle braccia sarebbero state – a breve – il posto più sicuro dove suo figlio poteva immaginare di stare. I suoi occhi lucidi di commozione mi dimostrarono che sarebbe diventato un ottimo papà.

 
A chi volesse fare un delizioso viaggio nel mondo, anzi, nella storia della paternità, consiglio il libro Storia della Paternità (Maurizio Quilici – Fazi Editore 2010 – 565 pagg.), dal quale ho preso lo spunto per questo articolo.

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Federico Ghiglione

Associazione Professione Papà