Lorenzo è nato col capoccione, un bambino grande e sano, nessuno c’ha badato. Dopo un mese, durante il bilancio di salute, la pediatra ci fa notare che la dimensione della sua testa risulta oltre il 95° percentile e ci consiglia una visita approfondita da uno specialista con conseguente ecografia intracranica (fino a quando i neonati hanno la fontanella aperta è possibile fare dei controlli ecografici non invasivi).

La pulce è nell’orecchio e noi seguiamo le indicazioni, “è solo per scrupolo” ci spiegano, ma l’ecografia invece di toglierci i dubbi ce ne mette degli altri: sembra che Lorenzo abbia un’asimmetria dei due ventricoli cerebrali. “Potrebbe essere niente, ma potrebbe essere indice di qualcosa che non va, voi tenete sotto controllo la circonferenza cranica e rivediamoci tra qualche tempo”.

La pulce ormai è un tarlo. E quel tempo passa con il centimetro in mano e le tabelle di crescita dall’altra, consumando Google con parole come “idrocefalia” o “macrocefalia”. Grazie al cielo sulla nostra strada incontriamo una neurologa del Regina Margherita di Torino che ci tranquillizza, visita Lorenzo, sconsiglia ulteriori tac invasive (per la tac i bimbi vengono sedati), decreta che “il piccolo è più che idoneo ai parametri della sua età”. E l’asimmetria? Il corpo umano non è perfettamente simmetrico. E il testone? “Signora mi pare che anche lei abbia un signor capoccione”. Caso chiuso, scampato pericolo, nessuna conseguenza o forse sì.

Lorenzo è un bambino a cui non è stato concesso di annoiarsi. Non c’è stato momento in quel primo anno in cui non mi abbia avuto tra le palle, a cantargli filastrocche, far parlare pupazzi, domandargli ogni tre per due “come fa la mucca?”, leggergli un libro, cercare di farlo ridere. Ci chiacchieravo perfino durante i giri in passeggino, per tutto il tempo. Una raffica di stimoli che, figli capoccioni o meno, rappresentano il modello educativo di molti genitori concentrati a tirar fuori dai loro bambini quel diamante prezioso che è la creatività.

Un pomeriggio di non molto tempo fa Lorenzo mi ha detto che mi voleva accanto a lui mentre giocava, ma si è premurato di aggiungere “pel favole, zitta”. Per me è stato illuminante. Un bambino osservatore e contemplativo come Lorenzo aveva voglia e bisogno di osservare e contemplare. Magari anche di silenzio, per capire secondo i suoi tempi e annoiarsi.

Ho ripensato a me da bambina, alle ore passate alla finestra a non fare nulla, semplicemente guardando fuori in ginocchio su una sedia, ho pensato a quando ciondolando da una stanza all’altra in pomeriggi invernali finivo per sdraiarmi sul pavimento, la tempia sul legno, a fantasticare. Ecco, ora mi sembra chiaro, la fantasia ha bisogno di noia e di asimmetria.

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