Si nascondono, si aggrappano alle nostre gambe, difficilmente salutano quando arrivano in un ambiente nuovo, parlano pochissimo: spesso i bambini di  tre o quattro anni si comportano in questo modo.

A nulla vale spingerli a comportarsi diversamente: nella prima infanzia i bambini vivono il periodo in cui cominciano a prendere consapevolezza di sé e dell’Altro, e sperimentano alcune relazioni (in particolare il momento dell’incontro con gli adulti) con grande difficoltà.

A volte è solo un imbarazzo velato da qualche sorriso, che si scioglie dopo i primi momenti: è la fase del pre-contatto, quella in cui hanno bisogno di “annusare” l’aria prima di sentirsi sicuri e a loro agio.

Questa fase è del tutto normale, e non rivela nulla di patologico. Sicuramente riguarda il mutato senso dell’autostima che i bambini costruiscono nel tempo, e che fa loro sperimentare -in queste occasioni- un senso di inadeguatezza rispetto agli adulti e alle emozioni che vivono nei contesti meno familiari.

Un aspetto da considerare nei casi di timidezza è che essa spesso coincide con fasi in cui il bambino, anche se non ce ne rendiamo conto, vive situazioni nuove in cui gli viene richiesto di essere “più grande”, “più capace”: l’inizio della scuola, un nuovo sport, la nascita di un fratellino, ma anche dei cambiamenti in famiglia (nuova casa, nuovo lavoro dei genitori).

Un bambino intimidito ha bisogno di tempo per ambientarsi nella nuova situazione. In molti casi di tratta solo di pochi minuti, passati i quali li vedremo partecipare normalmente alle attività. Ma questo tempo è soggettivo, e dipende da tante variabili.

Spesso i genitori si preoccupano e chiedono cosa possono fare. La risposta è “nulla“.
Non c’è una cura per l’imbarazzo, o un rimedio se nostro figlio ha bisogno di “riscaldarsi” prima di intraprendere un’attività. So che la timidezza non è un tratto incoraggiato nella nostra società, e spesso dobbiamo fare i conti con il nostro “narcisismo genitoriale“, quello che vorrebbe un figlio simpatico, estroverso, sempre al centro dell’attenzione.

Riflettendoci, i genitori di bimbi timidi coltivano dentro di loro una piccola delusione rispetto a questo tratto, e questa è la causa (non l’effetto): essere molto esigenti, troppo duri, o con aspettative elevate, rende i bambini più inclini alla mancanza di sicurezza.

E’ possibile che questi genitori siano stati persone timide nell’infanzia, o che abbiano dovuto sopprimere la loro timidezza perché ritenuta inaccettabile, e che adesso vogliano per i loro bambini un ruolo diverso “nel gruppo”.

I bambini sono quello che sono.
Accettare questa cosa, e accettare loro, non è poi così semplice come sembra: anche quando siamo armati delle più nobili intenzioni, le nostre aspettative su di loro sono sempre affacciate al confine della relazione che abbiamo con loro.

E’ normale, ma è altrettanto importante rendersene conto, per fare un passo indietro e permettere loro di trovare “il loro” tempo di crescere. Incoraggiarli nell’estroversione non serve a nulla, se non ad ottenere il risultato contrario.

I messaggi di incoraggiamento passano attraverso segnali impercettibili, non soltanto attraverso le parole, di cui spesso noi genitori non siamo nemmeno consapevoli. Ecco che allora il nostro stare con loro dovrebbe essere permeato di lodi e fiducia, ma di quelli che nascono dal cuore, e non dalla testa.

Cosa importa se sono timidi? Questa è la domanda che faccio spesso ai genitori che mi parlano di questo problema. Da lì si apre un modo di vissuti, emozioni, richieste, aspettative antichissime che spesso attraversano generazioni.

Spesso i bambini timidi non perdono il piacere del gioco: non è detto che stare in disparte significhi per loro solo “soffrire”. Valutate se la timidezza impedisce loro di svolgere le attività fondamentali di una giornata, se costituisce un blocco o semplicemente una fase da attraversare.

Capisco che a nessuno piace vedere il proprio figlio vivere una situazione di imbarazzo o disagio, ma ritengo che anche questo faccia parte di una crescita sana: trovare le risorse per superare una difficoltà.

La competenza sociale è un’abilità complessa che si costruisce nel lungo periodo. E’ anche possibile che un bambino che legge in disparte, ad esempio, nel tempo trovi altri bambini con interessi comuni. La cosa più importante è aiutarli a trovare qualcosa che a loro piace.

Il nostro compito è stare lì, con loro, e non spronarli ad essere diversi. Per loro sapere che li amiamo nonostante non siano i leader del gruppo sarà il messaggio più importante.

Marcella Agnone – Psicologa Psicoterapeuta