Nella classifica dei temi che più portano a dibattiti e discussioni accese, tre solo gli argomenti maggiormente oggetto di polemiche:
– parto naturale o cesareo
– allattamento al seno o biberon
– mamma lavoratrice vs mamma casalinga, laddove per “lavoratrice” si intende mamma che svolge un’attività extrafamiliare per la quale viene pagata (è bene specificarlo, anche se nessuno sano di mente oserebbe sostenere che i compiti di cura e custodia che una madre svolge h/24 non siano di per se stessi un lavoro).

Per questo non mi ha stupito vedere la coda di commenti e riflessioni che questo post ha portato.

L’argomento è più che mai attuale da quando Giovanni Paolo Ramonda, responsabile della comunità papa Giovanni XXIII, ha proposto uno stipendio di 800 euro netti al mese a tutte le mamme che dovessero scegliere di stare a casa con i figli e rinunciare al nido, per i primi tre anni di vita del bambino.

Una proposta che, personalmente, ha spaventato e indignato, interpretandola come un gigantesco passo indietro che riporterebbe le donne nel perimetro delle loro case.

Così ho avuto bisogno di circondarmi di amiche che mi aiutassero a mettere a fuoco le ragioni perché è invece opportuno che anche a chi ha avuto figli venga data la possibilità di mettere a frutto anni di studio, aspirazioni e progetti di vita.

“I bambini non hanno bisogno di una madre accanto nell’età evolutiva, ma di una madre serena e realizzata accanto. Possibilmente per tutta la vita. Perché l’età evolutiva grazie a Dio finisce. Per me la serenità e la realizzazione di una donna passano, come per l’uomo, attraverso il lavoro fuori casa, retribuito” dichiara Francesca, la mia portavoce preferita, e aggiunge “Faccio presente che se le nostre figlie un giorno potranno lavorare, realizzasi, essere indipendenti, decidere appieno del proprio futuro, sarà grazie alle donne che lavorano, che lottano per farlo a prescindere dalle difficoltà contingenti e che lasceranno, appunto, in eredità alle generazioni future una preziosa fetta di uguaglianza e parità di opportunità e diritti. Così come noi dobbiamo questo alle donne che in passato hanno lavorato alla faccia di tutti, e non a quelle che sono state a casa, a prescindere dalle pulsioni materne”.

Ma per i bambini è bene che la madre sia presente, almeno nei primi anni di vita. No?

“Guarda” continua Francesca “Non mi sono mai sentita così presente con i miei figli come quando ho lavorato con soddisfazione e motivazione. Avendone due più che ventenni, posso anche garantire che, interrogati nel pieno delle loro facoltà mentali, reputano che una madre che lavora sia quanto di più naturale ed auspicabile un figlio possa augurarsi”

E se è la coppia a decidere che un dei genitori stia a casa con i figli?

“Uno dei genitori? Questa scelta nel 99,9% dei casi vede la donna a casa e l’uomo a lavora stipendiato, continuando ad alimentare così una condizione di inferiorità che pagano le donne. Se in Italia l’abbandono del lavoro dopo la maternità non fosse un problema (e lo è, Dio santo se lo è), rimanere a casa potrebbe essere una scelta, inconsueta, personale, ininfluente sul piano sociale ed economico. Ma la donna che sta a casa in preda all’ardore materno, che “sceglie” di essere a carico del marito e della società penalizza tutte le donne, specie quelle di domani. Oltre ad approfondire un solco ormai incolmabile fra l’uomo e la donna in ambito lavorativo”

“Il problema è il genere” prende la parola Rita, docente di inglese “Non stiamo parlando di persone ma di donne. La donna può scegliere se realizzarsi a casa o se lavorare. Non un uomo. O una donna. LA donna. Che quindi, essendo unica nella coppia a poter fare questa scelta, non è uguale al suo compagno. Quindi lui lavora, lei può, se vuole, ANCHE lavorare. Come fa a sfuggirvi questa differenza gigantesca?”

Niente come le amiche per spiegare quello che pensi. E io non ho niente altro da aggiungere