Accanto all’esercito crescente di mamme-blogger che condividono la loro esperienza e le loro difficoltà, capita sempre più spesso di leggere articoli e accorate dichiarazioni di donne che spiegano, urlano, dichiarano, il loro desiderio di non avere figli.
Davanti alle parole di queste donne, solo in alcuni casi confuse e contraddittorie, mi capita spesso di provare sincero rispetto.

Alla base di un desiderio non vi è mai solo istinto. Alla base del desiderio di maternità, così complesso ed ambivalente, c’è sempre un richiamo primordiale (non tanto con riferimento a Madre Natura, ma piuttosto alle origini della nostra storia personale) ma anche la capacità di ascoltare consapevolmente le nostre voci interiori, quelle con e dentro alle quali siamo cresciuti.

Le motivazioni più spesso riportate su questo argomento sono quelle che riguardano la difesa della propria libertà, del proprio lavoro, della propria indipendenza economica.

Pur essendo questa una rubrica che parla di mamme e alle mamme, non posso fare a meno di pensare con grande rispetto a quelle donne sinceramente convinte dei loro propositi quando sentono di non volere mettere al mondo un figlio.

Come mamma, una parte di me sa che, nonostante tutto, alcune di queste donne “non sanno che si perdono”: la maternità è anche, ma non solo, gioia, divertimento, scoperta, emozione.
Come donna, so guardarmi indietro e riconoscere che la maternità non è soltanto questo, ma è una gioia che nasce dalla fatica di costruire e ricostruirsi.

E’ un’esperienza, è un cambiamento, e non tutti i cambiamenti sono facili e gradevoli: per ciascun individuo il suo esito dipende da come ci entra, come lo attraversa, e come ne esce.

Si può non condividere l’una o l’altra posizione riguardo all’avere figli, ma è decisamente necessario non scadere nel pregiudizio. Nessuno imporrebbe ad una donna una scelta che non sente come propria, per poi giudicare le nefaste conseguenze della stessa scelta. E, nello stesso tempo, si fa presto a giudicare una madre in difficoltà come “cattiva madre”, quando il suo sorriso non è la prima cosa che salta agli occhi quando affronta la fatica della genitorialità.

La maternità rappresenta certamente, come più volte abbiamo detto, una tappa importante dello sviluppo della nostra personalità, una realizzazione significativa per una donna (o per un uomo), ma non possiamo certamente negare la voce ormai consistente e polimorfa delle nuove mamme che gridano a gran voce quanto la maternità, anche felice, sia faticosa.

Alla base di tutto, una grande solitudine: tavolta fisica, talvolta emotiva, le nuove mamme devono inventarsi e reinventare se stesse in mancanza di modelli di femminile materno che sia rappresentativo, perché troppo rapidi e radicali sono stati i cambiamenti nella vita familiare e non.

Lamentarsi, e condividere la lamentela in modo “virtuale” e non, sembra essere la chiave di accesso alla ricerca di un nuovo equilibrio interiore. Queste lamentele, tanto utili alle mamme, sembrano dare ancora più conferma a quelle donne che invece di maternità proprio non vogliono sentirne parlare.

Credo che oggi la condivisione di queste difficoltà racchiuda in sé un segreto, che è quello di trovare un percorso alternativo alla stanza di terapia, ma ugualmente importante ed efficace (la vita stessa, in primo luogo, è terapeutica!): è la necessità di lavorare su se stesse, narrandosi, ascoltando se stesse e le altre, cercando la propria spontaneità e la propria autenticità.

In una società che spesso tenta di legare a stereotipi alcuni ruoli che invece non hanno più legami con le etichettature del passato, è importante che ciascuna trovi il proprio modo di scrivere la sua storia.

I tempi, le fasi, avranno per ognuna il loro momento: così come ciascun bambino trova il suo tempo per parlare, per camminare, per ciascuna donna che saprà ascoltare se stessa senza mettere a tacere anche le voci meno amabili, arriverà il momento della comprensione e della scelta.

dott.ssa Marcella Agnone – Psicologa Psicoterapeuta

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