Cosa fare se un bambino si ostina a dire “no” al genitore? Quanto sarebbe bello che il genitore, ogni genitore, riflettesse e ascoltasse se stesso, prima di minacciare il bambino?

La forma essenziale di interazione tra adulti e bambini si basa sul presupposto che gli adulti dicono ai bambini che cosa fare.

Quando osservo l’escalation (spesso inutile) delle minacce nella comunicazione tra genitore e bambino, mi chiedo dove il bambino può trovare la forza e il coraggio necessari a persistere. Riflettendoci, ogni bambino riconosce che la forza del genitore è superiore, la possibilità di violenza fisica è reale, anche se mai esercitata. 

In alcuni messaggi educativi la punizione è sempre presente all’altra estremità di una pretesa. Quando un genitore pretende qualcosa il suo messaggio essenziale è che l’unica cosa che conta è il suo punto di vista. Se il bambino non lo seguirà, lui avrà il potere di punire; se lo seguirà, verrà ricompensato.

Il passaggio al fare richieste significa abbracciare la possibilità che l’altra persona dirà “no” e di accettarlo. Significa rinunciare a utilizzare qualsiasi tipo di potere che abbiamo (come quello di punire l’altra persona, adulto o bambino), quando ha la facoltà di dire “no”. Senza l’accettare che gli altri sono liberi di scegliere, senza abbandonare l’abitudine di limitare la scelta altrui attraverso la minaccia di conseguenze negative, qualsiasi cosa che chiediamo apparirà “solo” come una pretesa.

La punizione assume molte forme nelle interazioni tra adulti.
Dico alla gente che ogni volta che vogliono convincere qualcuno a fare qualcosa solo perché hanno il potere di impartire spiacevoli conseguenze (ovvero una “punizione”), perdono la buona volontà e la fiducia di quella persona. 
Pochissimi comprendono appieno le implicazioni radicali di questa affermazione.

Ci è stato detto che la punizione scoraggia i bambini a continuare in comportamenti dannosi. Molti di noi sono cresciuti così.
Quello che nessuno ci racconta, e che diventa poi il cuore di molte consulenze terapeutiche (o scolastiche), è il fatto che la punizione perde efficacia in breve tempo, a meno che non si trasformi -tragicamente- in una violenza reale e concreta contro il bambino, e questo stile comunicativo ed educativo finisce col ritorcersi contro i genitori.

Insegnare l’autodisciplina (che NON significa lasciare i bambini privi di regole o liberi di fare ciò che vogliono: la disciplina resta regolamentata da un adulto) è di certo più faticoso che ricorrere alle minacce o alle urla, ma è di certo più efficace e duraturo.

Il classico scappellotto, l’urlo, la punizione (“vai in camera tua!”) in realtà ci fanno ottenere l’effetto contrario, perché il bambino una volta punito si sentirà autorizzato a comportarsi come prima, dal momento che ormai ha “pagato” la sua colpa.

Ma c’è di peggio: il nostro comportamento è un modello per i figli, ecco perché tante volte ci ritroviamo con piccoli contestatari che ci minacciano di fare cose spiacevoli se non li accontentiamo (esattamente come noi facciamo con loro), per non dire che alcune volte scappa a loro anche qualche sberla verso i genitori.

La disciplina punitiva è, per definizione, qualcosa che non ascolta i bisogni del bambino. Essa è svilente, paurosa, umiliante. Sappiamo per certo che nessun bambino impara dalla paura di essere punito, anche se l’effetto superficiale è di ottenere -sul momento- il comportamento voluto. La punizione o la violenza svaluta l’importanza di ascoltare i propri bisogni.

Esistono milioni di altri modi per insegnare ad un bambino ciò che è migliore o peggiore, certo più faticosi per noi adulti, ma di gran lunga più produttivi come insegnamento per la vita.

Il primo suggerimento da tutti riconosciuto come metodo efficace è sempre quello di esprimere ai bambini quello che proviamo, piuttosto che ricorrere alla rabbia, alle urla o alle punizioni. Per fare questo, “purtroppo”, dobbiamo avere per primi una sufficiente consapevolezza di noi stessi da poterci permettere di ascoltare i nostri sentimenti e valutare le nostre reazioni.

Mamma e papà dovrebbero sempre spiegare che quel dato comportamento provoca in loro rabbia, tristezza, dispiacere. Perdere le staffe è umano, ma è sempre fondamentale riconoscere che non è un buon comportamento, e chiedere scusa.

Sì, chiedere scusa ai propri figli quando si fa qualcosa di cui non andiamo fieri è un insegnamento importante: permettiamo loro di capire cosa è giusto o sbagliato, e mostriamo la nostra umanità.

Nel prossimo articolo parleremo ancora di questo argomento. Vi aspetto.

Marcella Agnone – Psicologa Psicoterapeuta