In questo articolo vi riporto la seconda parte di una ricerca descritta dalla rivista Psychofenia (vol. VIII, n. 12, 2005) che mette a confronto due modalità di parto, il parto spontaneo ed il parto cesareo.

Rimandando ad una lettura completa della ricerca per maggiori dettagli, descriviamo quali differenze la ricerca ha evidenziato rispetto all’essere alla prima esperienza di parto oppure no.

Sembra che essere primipare, in entrambe le condizioni di parto, determini dei punteggi più alti nella scala di valutazione degli stati depressivi e di ansia.

In caso di donne che hanno precedentemente partorito, invece, se il parto è cesareo è più frequente la sofferenza indagata.

Questo, secondo gli autori, è legato non più all’ansia di affrontare per la prima volta l’evento del parto, ma alla possibilità di vivere negativamente l’evento dell’intervento chirurgico e “la perdita del Sè ideale materno” (ovvero la propria capacità di attuare “il parto perfetto”).

In caso di taglio cesareo, oltretutto, alla sofferenza psichica (che si manifesta con sintomi depressivi, ostilità e paura di perdere l’autonomia) si associa concretamente una diversa sofferenza fisica che è quella legata all’intervento chirurgico, diverso nei tempi di ripresa e nella reazione individuale.

Le donne riferiscono che il parto naturale viene percepita come modalità più attiva ma più rischiosa.

Avere già affrontato positivamente questa esperienza (quindi nel caso di parto spontaneo non come prima esperienza) è la condizione più positiva da tutti i punti di vista.
L’esperienza pregressa, il successo, la fiducia nelle proprie risorse, sono dunque gli elementi che proteggono da vissuti psicologici negativi.

Al contrario l’impotenza, la paura ed il trauma “cumulativo” (che si aggiunge ad un’esperienza precedente) fanno emergere somatizzazioni e stati depressivi.

La conclusione più interessante dell’articolo riguarda una “raccomandazione” per gli operatori sanitari: dal momento che il parto è una tappa evolutiva fondamentale per la donna e per la coppia, la struttura ospedaliera ha il compito di contenere gli aspetti di rischio non solo fisico ma anche intrapsichico, e soprattutto, a livello relazionale, “favorire la costruzione dei legami affettivi”.

dott.ssa Marcella Agnone – Psicologa Psicoterapeuta

foto: mamma.pourfemme.it