Mi chiedo come mai ci si ostini a tracciare lo scorrere del tempo fissando al 31 dicembre la fine dell’anno solare. È del tutto sbagliato! L’anno finisce il 15 giugno e ricomincia – dopo un’apnea di quasi tre mesi – il 1 settembre.

Gli adulti lo sanno da sempre, le mamme lo sanno un po’ di più. Fanno finta di niente salvo quando, durante il cambio di stagione, si ritrovano in mano la maglietta che il bambino aveva indossato ininterrottamente l’anno prima e che era stata conservata nell’ipotesi che gli andasse bene anche quest’anno. E difatti il bambino gli entra ancora, peccato non la voglia più. È da piccoli, dice, appartiene al passato, a mille anni fa.
Appartiene all’anno delle tabelline mandate a memoria, l’anno di Masha e Orso, dei Pokemon, dell’amicizia con Riccardo, ormai finita. Momenti che il bambino ha già dimenticato e anche se li ricorda li tiene per sé. La mamma invece no, lei guarda suo figlio e vede il bambino dell’estate prima. “Ti ricordi?” chiede, cercando di riportare indietro la zazzera corta e bionda, ma lui non ricorda più. Guarda avanti, mentre sua madre guarda sempre indietro che noia!

In effetti la madre guarda indietro e, tenendo in mano la maglietta, si chiede se nell’anno appena passato abbia fatto tutto quello che poteva. – dice a se stessa – ha fatto tutto, forse anche troppo. Quel continuo mettere fretta, ad esempio avrebbe potuto evitarlo. Ma si sa come sono i bambini: hanno un senso del tempo tutto loro e vanno continuamente spronati, per cui: sbrigati, ché sei in ritardo per la scuola, corri, ché la lezione di tennis sta per cominciare, muoviti, ché arriviamo tardi al compleanno di Chiara. E correndo correndo il tempo è passato, il bambino è cresciuto.

Forse avrebbe potuto fare a meno di mandarlo a letto presto, consentirgli di rimanere sul divano e addormentarsi lì, accanto a lei, ma si sa che le ore di sonno di un bimbo in crescita sono importanti e dunque Raus, fila a letto! Tra cinque minuti vengo a darti la buonanotte. E quel bacio della buonanotte arrivava tardi, quando lui già dormiva e non si poteva fare altro che struggersi dentro quel respiro regolare, l’espressione distesa, e dargli infine il bacio con un leggero senso di colpa per non essere arrivate in tempo a dirgli quanto gli si voglia bene.

O ancora, avrebbe potuto evitare di negargli così tanti pomeriggi assieme agli amici. Ogni volta era la stessa storia, con i bambini che sciamavano fuori dalla scuola separandosi gli uni dagli altri tranne quei due che uscivano assieme dirigendosi compatti verso la mamma di uno di loro. «Posso andare a casa di Filippo questo pomeriggio?»  – o anche – « Filippo può venire a casa nostra?» Allora guardavate di sottecchi la mamma di Filippo incrociando il suo sguardo allarmato. «Non oggi, amore»  – rispondevate infine  – «Le mamme hanno da fare, ci si deve mettere prima d’accordo tra noi». Un sospiro deluso e anche quel pomeriggio di gioco era andato perduto.

«La stai mettendo giù troppo dura» dice la tua parte razionale mentre decidi cosa fare di quella maglietta «Tuo figlio è amato, protetto, al sicuro e con la pancia piena. Che senso ha farsi venire questi magoni?»
Nessuno, ma tant’è.

«Che ne dici, chiamo la mamma di Filippo e andiamo assieme al parco questo pomeriggio?» proponi.
«No, preferisco i miei nuovi amici che sono appassionati di Minecraft come me» risponde il ragazzino con una voce tutta nuova.

Dunque hai capito di essere in una nuova fase della sua vita, quella precedente è stata archiviata. Avrai fatto tutto quello che potevi, avrai fatto abbastanza? ti chiedi ancora. Ma sì, certo che sì. Però, boh.