“E voi, come siete messi a educazione fisica?” chiedo a mia sorella Silvia, quella che vive dall’altra parte dell’emisfero. Confrontarmi con lei mi piace e mi destabilizza: il suo è un mondo all’incontrario in cui si invertono le stagioni, i giorni, le notti e le consuetudini.
“Ti racconto come funzionano le cose qui. Ti farà ridere o piangere: confesso che io ogni tanto piango” – mi ha risposto lei.

“Qui lo sport è parte integrante del curriculum scolastico e in genere ci sono delle attività comuni a tutte le scuole, secondo le stagioni.

Il primo trimestre, da febbraio ad aprile, è dedicato al nuoto. La maggior parte delle scuole ha una piccola piscina e tutte le classi fanno un’ora di nuoto al giorno, tempo permettendo. I più piccoli imparano a nuotare facendo esercizi che aiutano a galleggiare e ad acquistare sicurezza in acqua. Di solito è prevista una giornata al mare presso un Surf Lifesaving Club dove i bagnini insegnano ai bambini a riconoscere le correnti, classificare le onde e soprattutto cosa fare in caso di pericolo, dato che siamo un’isola circondata dal Pacifico con correnti fortissime, acque gelate, maree con dislivelli di 2 metri, squali e meduse giganti.

Verso fine febbraio ci sono le gare scolastiche a cui tutti i bambini partecipano a seconda del loro livello. Quelli di 7 anni, se bravi, oltre a fare mini-gare di 20 metri devono fare pure i 50 metri a stile libero e dorso. I primi classificati poi vanno a fare le gare provinciali la settimana successiva. Tutto questo naturalmente all’aperto, in piscine fredde, indipendentemente dalla situazione del tempo e della temperatura. In anni buoni può essere estate, ma lo scorso anno avevamo 8 gradi e una pioggia torrenziale, bambini ipotermici e genitori tranquilli avvolti nelle loro giacche a vento.

A seguire triathlon obbligatorio, con diversi livelli di difficoltà a seconda dell’età. Per bambini di 10 anni sono previsti: 50 mt a nuoto, a seguire 2 km in bici poi 1.5 km di corsa”.

E chi non ce la fa? Chiedo.

“Viene abbattuto. Scherzo, ma neanche tanto. Ti confesso che a me – italiana abituata a cappellini e maglie della salute – vedere i bambini spinti a fare così tanto sport senza riguardo per la loro costituzione fisica o condizioni atmosferiche fa pensare ad una forma di abuso su minori. D’altra parte vedo che i bambini crescono più forti, indipendenti e in grado di cavarsela da soli. Sviluppano un forte spirito di squadra, soprattutto. Ma lasciami proseguire con i trimestri successivi.

Il secondo trimestre vede la preparazione per la corsa campestre. I bambini si esercitano lungo le strade cittadine, due volte a settimana. Naturalmente scalzi.

Il terzo trimestre, pieno inverno, i bambini hanno i vari sport del fine settimana: rugby o calcio per i bambini, netball per le bambine

Nell’ultimo trimestre, in primavera, di nuovo sport all’aperto: baseball, cricket, touch rugby, e se il sole fa capolino, di nuovo in piscina.

Durante la settimana, subito dopo la campanella, si fa Jump Jam, una lezione di aerobica all’aperto studiata per bambini che vengono incoraggiati a partecipare con maglietta e pantaloncini e ovviamente scalzi, per non accaldarsi. Partecipazione generale obbligatoria, a meno che uno non stia male”.

Inizio a sentirmi molto in colpa per non aver attuato il proposito di camminare almeno mezz’ora a giorno durante l’inverno. Ma era inverno, appunto.

“Non per infierire – continua la mia implacabile sorella – ma in Nuova Zelanda abbiamo il clima subantartico, che fa si che faccia quasi sempre freddo. Quando soffia il vento subantartico è possibile che nevichi o ci siano gelate, anche in estate. Quest’anno le gare regionali si sono svolte in una giornata freddissima, c’erano 8 gradi con venti a 100km/h. Domani ci svolgerà la gara di triatholon: 120 mt nuoto, 4.5km in bici, 1 km di corsa. Spero il tempo regga perchè c’è un ciclone tropicale in rotta di collisione con la Nuova Zelanda.
Ma non è una scusa: tutti i bambini devono partecipare. Non sono richieste visite mediche o certificate di buona salute: se sei iscritto a scuola, devi fare il triathlon. E’ una cosa molto bella, ma ogni anno ci sono diversi ragazzi che a fine gare vomitano dallo sforzo”.

Adesso sono proprio sgomenta e, anche se non lo confesserò mai, per un attimo rivaluto la rilassatezza delle lezioni di educazioni fisica delle scuole italiane.