Il nostro modo di incontrare l’altro non può prescindere dal nostro corpo: anche senza esserne consapevoli, il nostro vivere nel mondo è fatto di concreta corporeità.

Noi “siamo lì dove è il nostro corpo”, che esprime la nostra storia di contatto con gli altri, sin dalla nostra nascita. Come siamo stati accuditi, toccati, rimane scritto sulla nostra pelle, ed incarnato in noi che, per tutta la vita, ci esprimiamo a partire dalla nostra esperienza.

Oggi, in una “società liquida” (cit. Baumann), il corpo sembra perdere concretezza: impossibile, in realtà, ma tendiamo a svuotarlo di quei significati importanti e incarnati, tendendo a desensibilizzarci quando è più facile non sentire.

Per contro, il corpo (potremmo dire, svuotato di questa sensibilità) diventa oggetto centrale da perfezionare, modellare, curare secondo canoni esterni che non sempre ci appartengono.

La dieta, la moda, lo sport portati all’estremo ne sono un esempio.

Quando in psicoterapia si parla di “storia interiore“, non si fa riferimento a qualcosa di misterioso e oscuro, quanto a quegli avvenimenti che hanno attraversato la nostra vita ed il nostro corpo, con le loro piccole sfumature, il modo che hanno di renderci quello che siamo.

Ad un occhio clinico, queste sfumature appaiono visibili, in un modo che parla dello stare-con non soltanto attraverso l’analisi visiva, ma anche alle sensazioni che si percepiscono quando si incontra l’altro.

La posizione del corpo, il tono della voce, lo sguardo, i gesti, il lessico, sono tutte caratteristiche mai casuali per ciascuno di noi, che raccontano di chi siamo e come siamo.

Questa attenzione al corpo, che potrebbe essere qualcosa di estremamente positivo, si declina tuttavia in una preoccupazione che, come accennavo, diventa alienante.

Pre-occuparsi, del resto, significa occuparsi di qualcosa prima che sia effettivamente il suo tempo. Nel nostro caso, occuparsi di come il corpo appare al di fuori da una relazione reale e concreta, ma solo in teoria, in astratto.

Ecco che allora ci immaginiamo come vorremmo apparire, un’immagine che è al di fuori del nostro sentire, dettata da modelli ideali conosciuti attraverso i sistemi di comunicazione e pubblicitari.

La cura del corpo non è più cura di Sé, non è più un volersi bene basato sulla ricerca di sensazioni di benessere e salute: persino questa percezione ci viene indotta dall’esterno, basti guardare su teleschermi e giornali i continui inviti alla dieta e all’esercizio fisico. Messaggi insistenti finiscono col farci credere che il nostro benessere non è auto-regolato, ma prescritto da quei programmi alimentari e sportivi.

Questa pressione sociale porta inevitabilmente all’insoddisfazione. Dal momento che il parametro di riferimento non è “quel che sento” ma “quel che devo”, diventa una corsa all’oro stressante ed impegnativa, oltre che, in alcuni casi, impossibile.

Nella maggior parte dei casi si basa su un forte controllo: rigidamente a dieta il corpo, rigidamente a dieta il nostro animo. E’ come se “trattenendoci” (dal sentire, dal mangiare, dall’oziare) potessimo raggiungere obiettivi importanti.

In realtà in questo meccanismo ci sono diverse insidie. Nel prossimo articolo vedremo quali.

Marcella Agnone – Psicologa Psicoterapeuta