Nei precedenti articoli abbiamo visto come il ciuccio, nei primi mesi di vita, può essere un prezioso alleato, sia per il bimbo che per i genitori. Cerchiamo di capire quali sono i suoi “svantaggi”, e perché col passare del tempo toglierlo diventa complesso.Ciucciare è un bisogno per il bambino molto piccolo: lo aiuta a calmarsi e a rilassarsi.
Nei primi mesi di vita non vi è comprensione di “significati”, ma sensazioni semplici e basilari che si fondano sulla percezione corporea.

Col tempo questa modalità tende spontaneamente ad affievolirsi, soppiantata da altri modi di affrontare le situazioni difficili, e soprattutto dalla crescita di una competenza relazionale che vedere emergere nella quotidianità del bambino l’importanza dell’esserci dell’Altro.

Uno dei bisogni primari del bambino, nei momenti di stress, è quello di trovare un contenimento alle sensazioni spiacevoli: inizialmente fame, sonno, freddo; crescendo anche agitazione, fatica, paura.

Il ciuccio in molti casi funziona bene, ma la relazione con l’adulto non può essere sostituita da un oggetto di auto-gratificazione: sin dall’inizio dovrebbe essere considerato come un oggetto transitorio.

E’ risaputo che l’uso prolungato del ciuccio, infatti, può causare problemi ai denti o ritardi nel linguaggio, oltre a rendere talvolta stressante il momento in cui è necessario allontanarlo.

Alcuni studiosi, sin dagli anni 60, hanno osservato per lungo tempo bambini e neonati, ed hanno notato come a partire dai 6-8 mesi di vita il bambino tende ad abbandonare spontaneamente il ciuccio. Molti di noi si chiederanno: davvero, così presto?

La risposta è più chiara se si estende l’osservazione dal neonato agli adulti che si prendono cura di lui. Sembra infatti che tale “abbandono” sia possibile quando il caregiver è in grado di comprendere il significato del pianto, e calmarlo con risposte adeguate.

In questi casi, il ciuccio non verrà offerto né per postergare un pasto, né per il bisogno di essere cullati per addormentarsi, o per bisogno di contatto fisico.
Una delle competenze più complesse per un genitore è infatti quella di riconoscere i reali bisogni del neonato e fornire soluzioni diversificate: questa difficoltà è più presente nei primi mesi di vita, ma diventa una sfida crescente con lo sviluppo del bambino.

Una modalità di consolazione, per così dire, “arcaica” non è più necessaria quando il bambino comprende che il proprio bisogno trova diverse modalità di ascolto e di soluzione. Questo sembra accrescere la consapevolezza del bambino nel suo percorso di crescita (basata su sensazioni fisiche che lui stesso impara a discriminare), ma anche la fiducia in se stesso e nelle proprie competenze comunicative.

Il ciuccio fornito “indiscriminatamente” diventa quindi metafora di un bisogno “messo a tacere”, invece di un bisogno ascoltato e curato.
Vedremo nel prossimo articolo come è possibile provare ad allontanare il ciuccio in modo adeguato.

dott.ssa Marcella Agnone – Psicologa Psicoterapeuta

foto: riabilitazionelogopedia.it