Nel precedente articolo abbiamo parlato dello stupore e dell’imbarazzo che il linguaggio scurrile dei nostri bambini è in grado di farci provare. Vediamo oggi, al di là dell’effetto-sorpresa, quali riflessioni questo “problema” deve suggerirci.

I bambini usano le parolacce soltanto quando le hanno ascoltate da qualcuno. Gli adulti spesso usano questo linguaggio quando sono arrabbiati, lo mostrano anche i media, e questo comportamento “passa” da adulto a bambino di solito attraverso il “calore emozionale” che si trasmette attraverso determinate parole. Non sono le parole in sé, quanto le emozioni che veicolano.

In questo modo, i comportamenti aggressivi (cui appartengono le parolacce) passano da adulto a bambino, e da bambino a bambino: spesso i genitori sono certi di non aver mai utilizzato le parolacce, ma i loro figli le imparano a scuola, in strada, o dalla tv.
In questo modo, però, è facile comprendere che la colpa di aver appreso l’uso delle parolacce per un bambino è pari alla colpa di essersi preso un raffreddore.

Il problema, come già accennavo,  non credo sia nell’uso delle parole, tanto nei significati del comportamento del bambino. Spesso il bambino “aggressivo” viene colpevolizzato o punito: a volte sembrano spacconi ed arroganti, altre volte sembrano così arrabbiati da non riuscire a controllarsi, ma in realtà è necessario comprendere più profondamente cosa ci stanno comunicando.

I bambini non comprendono il significato delle parole alla lettera: sono molto più sensibili al tono che noi adulti associamo loro, ed è questo “colore” che lascia un’impronta su di loro.
Ogni parola ha una carica emotiva che resta impressa nel delicato sistema emotivo del bambino, e i sentimenti di rabbia e di aggressività non ne sono esclusi.

Ognuno di voi che mi sta leggendo sa quanto è facile arrabbiarsi, nella vita quotidiana, con altre persone e persino coi bambini: per debolezza, per stanchezza. In quel momento è come se avviassimo un video-registratore e tutto il nostro comportamento verbale e non verbale venisse registrato sulla mente del bambino, candida come una tabula rasa. Avete notato con quanta attenzione i bambini osservano?

Poi, ogni volta che il bambino si sente sconvolto, minacciato, che ha paura o si sente in inferiorità, viene fuori questo piccolo “copione” di parole, di atteggiamenti, di toni duri ed aspri che tempo prima lui ha sentito da altri.

Non è che il bambino voglia davvero usare delle parole cattive o dei comportamenti aggressivi, ma letteralmente non conosce un altro modo di esprimere quello che sta provando. E’ come se il suo comportamento fosse un segnale, un messaggio per dire che si sente male, che è arrabbiato.
“Vedi quanto sto male? E’ brutto, e voglio farti vedere com’è terribile”.
Poi a questo aggiungono la testimonianza concreta di quello che hanno imparato a scuola, o in strada.

Nel prossimo articolo torneremo sull’argomento, nel frattempo provate a riflettere: il comportamento problematico del bambino è sempre un grido d’aiuto.

Marcella Agnone – Psicologa Psicoterapeuta

foto: alriyadh.com